18 Gen Quali armi? le autorità non vOGLIONO VEDERE quel che trasportano le navi saudite
L’ultimo passaggio del cargo «Bahri Yanbu» attraverso la giurisdizione territoriale italiana ha segnato un punto di non ritorno. Nessuna delle autorità preposte al controllo in mare e in porto di ciò che caricano e trasportano le navi saudite ha adempiuto ai propri compiti, così consentendo che fossero per l’ennesima volta impunemente violati una legge della Repubblica e un Trattato internazionale, di cui peraltro l’Italia è stata tra i primi firmatari. Ma un conto sono le leggi, un altro gli affari.
L’ANTEFATTO
La nave battente bandiera saudita è entrata nelle acque italiane nella notte tra domenica e lunedì 10 gennaio 2022.
È attesa nel porto della Spezia da alcune settimane, perché lo scalo nel Golfo dei Poeti è stato annunciato dall’agente marittimo già a metà dicembre, e subito notato dalla rete antimilitarista e per il disarmo, che ne ha dato notizia (vedi su questo sito l’articolo pubblicato il 27 dicembre). Dalla sequenza degli scali già effettuati nei porti statunitensi, deduciamo che abbia già a bordo consistenti quantitativi di materiale militare ed esplosivi. Anche la stampa nazionale e locale si è mossa in anticipo, forse sull’onda del grande servizio (4 pagine nel n° 1 del 2022) che «l’Espresso» ha dedicato ai portuali genovesi. Oltre a «il manifesto», dell’arrivo della «Yanbu» alla Spezia si occupa per ben tre volte la pagina spezzina del «Secolo XIX» (vedi in Rassegna stampa).
Nel frattempo, nei giorni festivi a cavallo del Natale la nave è rimasta ormeggiata nel porto di Baltimora, Maryland. Notiamo per inciso che il segnale del transponder AIS della nave non è stato in quei giorni sempre costante: in passato anche i Lloyd’s di Londra avevano segnalato questa pratica illegale sulle navi della stessa compagnia. Poi ha lasciato il terminal di Dundalk il 28 dicembre. Sappiamo che impiegherà circa dieci giorni per attraversare l’Atlantico, passare Gibilterra, percorrere il Tirreno e presentarsi in porto. Nell’attesa raccogliamo notizie circa le motivazioni di un passaggio alla Spezia, porto mai toccato negli ultimi tre anni dalle navi della compagnia saudita, sporadicamente passate invece da Livorno (nel 2019), Marina di Carrara e Cagliari (nel 2021).
DOMANDE E RISPOSTE
Per merito delle associazioni pacifiste e ambientaliste spezzine, le sollecitazioni ad aprire un dialogo rivolte all’Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure orientale vengono raccolte dal suo presidente Mario Sommariva.
Genovese, classe 1957, Sommariva è alla guida dell’AdSP spezzina da circa un anno, ma ha un profilo professionale di tutto rispetto e una profonda conoscenza del lavoro marittimo per esser stato a lungo segretario della Filt-Cgil per il Dipartimento Mare Porti e Logistica, poi esperto a livello ministeriale e in varie iniziative di interesse pubblico, quindi segretario del porto di Bari (2006-2014) e del porto di Trieste (fino al 2020), dove è stato anche presidente dell’Agenzia del lavoro portuale.
A Mario Sommariva le associazioni hanno riportato gli interrogativi e le preoccupazioni circa l’imminente arrivo in porto della «Bahri Yanbu», con i suoi carichi di armamenti ed esplosivi. Hanno chiesto anche se era concreta l’eventualità che alla Spezia la nave potesse imbarcare ulteriori armamenti e verso quali destinazioni potessero esser diretti. Il presidente si è impegnato a raccogliere le informazioni utili e a fare un comunicato pubblico per rispondere ai quesiti delle associazioni.
Il 7 gennaio l’AdSP del Mar Ligure Orientale emanava la seguente nota per la stampa, comprensiva – si noti – del titolo Nessuna movimentazione di armamenti nel porto di La Spezia con la nave Bahri Yanbu. Lo riportiamo integralmente:
A seguito di un incontro richiesto da alcune Associazioni pacifiste nei giorni scorsi con il presidente Mario Sommariva, l’Autorità di Sistema Portuale del Mare Ligure Orientale ha richiesto alcune informazioni al Terminal Container LSCT, dove è previsto lo scalo della M/V Bahri Yanbu, schedulato il prossimo 10 gennaio. Il contenuto della richiesta ha riguardato la possibile presenza, fra le merci in imbarco e sbarco dalla nave di bandiera saudita, di materiali di armamento, la cui esportazione, importazione e transito è regolata dalla legge n. 185 del 9 luglio 1990. Il Terminalista sollecitamente ha chiarito che la nave sbarcherà a la Spezia un elicottero destinato all’attività del corpo dei Vigili del Fuoco, mentre fra il materiale che sarà imbarcato, non sussiste alcuna merce classificata fra quelle oggetto della disciplina di legge. Si esclude, pertanto, qualsiasi presenza di materiale bellico. La segnalazione delle Associazioni pacifiste derivava da precedenti situazioni, in cui secondo l’organizzazione Weapon Watch, la Bahri Yanbu era stata coinvolta in trasporti di armamenti destinati all’Arabia Saudita, impegnata in un conflitto armato contro lo Yemen. La legge italiana n. 185/90 non consente né esportazione né transito di armi e armamenti verso paesi in stato di conflitto armato o responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani.
Il giorno successivo, a quello dell’AdSP MOL fa seguito il comunicato delle associazioni. Si prende atto della dichiarazione del presidente Sommariva, che però si limita a riferire ciò che afferma il terminalista, quindi escludendo «qualsiasi presenza di materiale bellico» fra le merci in imbarco e sbarco. Rimane senza risposta la questione delle merci che sono già è a bordo della nave, sulla cui natura militare e destinazione nulla si dice, Su questo punto, del controllo di quali merci stia trasportando la «Yanbu», il comunicato delle associazione chiede anche l’intervento di Prefettura e Capitaneria di porto, autorità che come l’AdSP MOL sono dotate di personale ispettivo per la verifica a bordo. Rimane senza risposta anche la scottante questione della sicurezza dei lavoratori e dei cittadini della Spezia: viene infatti confermato che la nave attraccherà al Molo Garibaldi, quindi a «non più di 400 metri dall’abitato della città, distanza largamente inferiore a quella dell’area coinvolta in recenti incidenti causati dall’esplosione accidentale di munizioni».
LA YANBU ALLA SPEZIA: «NIENTE ARMI»
Al primo mattino di lunedì 10 la nave arriva in porto. Come accade a Genova ormai da molti mesi, l’area del porto commerciale è “militarizzata” dalla massiccia presenza delle forze dell’ordine. Come a Genova, l’impressione è che questo schieramento muscolare sia disposto “a protezione” delle operazioni che coinvolgono il cargo saudita, piuttosto che al controllo del materiale a bordo in transito nello spazio italiano, cioè entro i confini politici entro cui sono efficaci leggi e trattati sottoscritti dal nostro paese, ed entro cui le autorità competenti hanno l’obbligo di stabilire se si stiano compiendo violazione e reati.
Come anticipato dal presidente Sommariva, al “La Spezia Container Terminal” del Gruppo Contship – a sua volta controllato da Eurokai di Amburgo – viene sbarcato un grande elicottero, un Erickson Skycrane S-64F, velivolo da lavoro in versione “helitanker”. Questo esemplare, battezzato “Geronimo”, acquistato dal disciolto Corpo Forestale dello Stato, è ora in dotazione ai Vigili del Fuoco italiani ed era probabilmente proveniente dalla casamadre di Portland, Oregon, dopo una revisione o un upgrading, e imbarcato a Houston, Texas. Alla Spezia è anche annunciato l’imbarco di 40 casse di materiale, “machinery” secondo la definizione generica che ne ha dato il terminalista, ma che si esclude contegano materiale militare.
Come si può vedere dal telerilevamento AIS, mentre era in porto la «Yanbu» si trovava a 350-400 m dalle prime case dell’abitato cittadino e a meno di 200 m da due grandi navi da crociera, «MSC Fantasia» e «MSC Grandiosa», quest’ultima con 3.400 passeggeri in crociera e approdata alla Spezia per forza maggiore (il forte vento di tramontana ha sconsigliato la prevista tappa a Genova).
LA YANBU A GENOVA: «LE ARMI CI SONO, COME SEMPRE»
Dopo aver lasciato La Spezia verso le 16 di lunedì 10, la «Yanbu» non prende la consueta rotta verso Alessandria ma giunge a Genova prima dell’alba di martedì 11, come peraltro previsto dalla schedule dell’agenzia Delta, che gestisce la flotta Bahri per l’Italia.
Si deve ai “camalli” genovesi se sotto alla Lanterna si riesce a documentare, ancora una volta, che la «Yanbu» si conferma il traghetto della morte, da anni impegnato come le cinque navi gemelle in una gigantesca operazione di trasferimento di tecnologia militare statunitense alla monarchia assoluta saudita, vero e proprio “stato canaglia” la cui potenza finanziaria ed energetica è tale da stroncare qualsiasi opposizione interna e quasi ammutolire le campagne internazionali contro le più sfacciate violazioni del diritto e delle convenzioni di guerra.
Nel pomeriggio, poche ore dopo l’arrivo della nave a Genova, l’edizione online de «il manifesto» pubblica un articolo (si può leggere nella nostra Rassegna Stampa) in cui viene rivelato cosa contenevano le stive della «Yanbu» già all’arrivo alla Spezia. Veniamo così a sapere, almeno in parte, ciò che le autorità spezzine – a cui le associazioni si erano esplicitamente rivolte – non hanno voluto vedere ma che di cui ora l’opinione pubblica viene informata.
Nelle foto si vede almeno una mezza dozzina di blindati di fabbricazione canadese prodotti dalla General Dynamics Land Systems nello stabilimento di London, Ontario, e destinati alla Guardia reale saudita. Il costruttore (GD) e il modello (LAV, Light Armoured Vehicle per trasporto truppe) sono gli stessi che abbiamo già descritto in un precedente articolo nel dicembre 2019. Il regno saudita ne ha acquistati quasi un migliaio in diverse configurazioni, un ordinativo gigantesco che è valutato in 15 miliardi di dollari, ma che – secondo fonti giornalistiche – è stato compensato con un altrettanto sostanziono contratto petrolifero con Aramco, l’azienda nazionale saudita degli idrocarburi.
Quanto al destinatario finale indicato sul veicolo, la Guardia reale saudita, è un corpo d’élite destinato principalmente alla sicurezza personale della famiglia regnante e dei luoghi santi sauditi. Tuttavia, secondo l’esperto speciale dell’ONU che ha indagato sulla morte di Jamal Khashoggi, membri della Guardia reale hanno partecipato direttamente all’omicidio del giornalista nell’ambasciata saudita di Istanbul e al successivo occultamento del suo corpo; responsabilità che viene loro attribuita anche da un rapporto della Cia, che deve essere accertata da un processo che si sta svolgendo in Turchia, e che è stata perfino ammessa da un tribunale saudita.
LA PROTESTA DELLE ASSOCIAZIONI
Le notizie da Genova suscitano l’immediata reazione nelle associazioni spezzine, come si può leggere dal comunicato reso pubblico il giorno stesso dell’articolo de «il manifesto».
Vi si elenca una serie di fatti ineccepibili. Le armi a bordo della nave sono “armi da guerra”, e vengono impiegate in guerra dalle forze armate saudite. La guerra in corso in Yemen ha fatto almeno 377.000 vittime, di cui la metà bambini al di sotto dei cinque anni. Si fa notare che alla Spezia sono state caricate sulla «Yanbu» anche «40 casse» di cui non è stato precisato né la provenienza né la destinazione; né è escluso che nuovo materiale sia giunto in porto durante le otto ore di permanenza della nave in banchina. Per tutto questo arco di tempo, apparentemente eccessivo per scaricare un elicottero e caricare 40 casse, il porto della Spezia ha subito la stessa “militarizzazione” che viene pianificata e messa in atto nel porto di Genova ogni venti giorni, da due anni.
E per quanto riguarda le casse caricate, un successivo articolo de «Il Secolo XIX» parlerà di «19 contenitori di pezzi meccanici relativi a macchinari per le trivellazioni», sollevando ulteriori interrogativi sui restanti 21 container e il relativo contenuto.
Si chiede dunque all’AdSP MLO «se siano state aggiunte altre merci classificabili fra quelle oggetto della disciplina della legge n. 185 del 1990 e se a bordo della nave saudita fossero presenti armamenti o munizionamento proveniente da altri porti di precedente scalo della nave. E, in questo caso, se siano stati svolti tutti i controlli necessari sul carico della nave per verificare le condizioni di sicurezza per i lavoratori e la cittadinanza».
Con democratico puntiglio, si chiede nuovamente alle autorità competenti di verificare se siano state violate le leggi che vietano anche il transito di merci di cui è possibile l’utilizzo in guerre dove si possono compiere crimini di guerra. Com’è noto, secondo un rapporto di esperti dell’ONU la coalizione a guida saudita ha compiuto crimi di guerra, e il Parlamento europeo ha votato numerose risoluzioni perché sia vietato l’invio di armi verso i contendenti nella guerra dello Yemen. Peraltro l’Italia ha già revocato licenze che autorizzavano l’esportazione di armamenti all’Arabia Saudita e agli Emirati.
Il comunicato si chiude con un appello a partiti e sindacati, perché svolgano il loro ruolo di garanzia della legalità democratica e della Costituzione, e perché segnalino concretamente le violazioni delle leggi in materia di esportazione e transito di armamenti.
OLTRE I SILENZI
Quella dei “traghetti della morte” è una vicenda che si trascina da oltre sette anni, e in cui non si fanno passi avanti.
Anzi, sappiamo meno di quanto eravamo venuti a sapere il 1° luglio del 2014, all’arrivo a Genova della «Bahri Hofuf» proveniente da Halifax, Canada. Quello fu uno dei primissimi, se non proprio il primo viaggio a Genova delle navi saudite, e venne accolto con grande allarme. I giornali del tempo riferiscono di una grande agitazione delle forze dell’ordine e della Capitaneria di porto, quando furono informate che in stiva c’erano «27 carri armati da combattimento classe Abrams, 6 autocarri militari modello Taurus, una unità mobile di telecomunicazioni e radar e 77 container pieni zeppi di attrezzature belliche di ogni tipo». Il comandante fu arrestato e portato negli uffici della Polmare, ispezioni si susseguirono a bordo, la nave venne “fermata”, di fatto posta sotto sequestro.
La situazione – raccontano i portuali – fu sbloccata solo grazie all’arrivo da Roma di un funzionario dell’ambasciata USA. Costernati, i funzionari delle autorità marittime genovesi fecero notare che solo «fossero state messe al corrente di quello che era stato stoccato sul bastimento (…) si sarebbero comportate in modo diverso. Sarebbero stati organizzati presidi e servizi di pattugliamento adeguati» (così testuale ne «Il Secolo XIX» del 14.8.2014).
Da allora, pur senza l’ufficialità di ispezioni e conferenze stampa, abbiamo sempre saputo cosa trasportano le navi saudite, quale catena logistica militare stanno servendo, di quali protezioni diplomatiche e di polizia stanno godendo. Non c’è “segreto di Stato” che possa nascondere un carro armato di 10 metri e di quasi 70 tonnellate o blindati canadesi 8×8 alti circa 3 metri. Tuttavia, nessuna delle autorità che hanno la competenza dei controlli sul transito degli armamenti adempie ai suoi compiti, stabiliti dalla legge 185/1990 e dal Trattato sulle armi convenzionali. Nessuna di esse pratica la trasparenza amministrativa – che è un principio democratico – per lasciar verificare a osservatori indipendenti e comunicare alla cittadinanza se sono state prese le misure opportune a prevenire ogni incidente legato agli esplosivi a bordo. Neppure la Magistratura, sollecitata con un esposto di Weapon Watch sin dal febbraio 2020, ha risposto alla nostra pretesa che si apra un’inchiesta sulle ripetute violazioni alle leggi nazionali e internazionali. Si tenga presente che nel solo anno 2021 le “navi della morte” della compagnia Bahri sono passate da Genova 14 volte.
Neppure è stato dato seguito a quella che persino un sito professionale online come Shippingitaly.it ha definito «una breccia nel silenzio istituzionale», ovvero la promessa risalente allo scorso luglio – che l’Autorità portuale genovese avrebbe avviato «un tavolo aperto alle parti sociali sulla problematica delle cosiddette “navi delle armi” o “navi della morte” della compagnia saudita Bahri». È passato settembre, sono passati altri tre mesi, ma al “tavolo aperto” non si è più neppure accennato. E dire che vi si era personalmente impegnato anche Maurizio Rimassa, il coordinatore regionale di Usb Liguria, organizzazione a cui appartengono molti dei portuali più impegnati nelle proteste iniziate nel 2019.
Che dire, infine, del presidente Sommariva? La sua buona volontà si è scontrata con la “ragion di Stato”? Il porto della Spezia è sovrainteso dai “poteri forti”? Eppure proprio Weapon Watch ha avuto parole di plauso per Sommariva quando, come segretario di Zeno D’Agostino a Trieste, ha firmato l’adozione di un regolamento per la gestione delle merci esplosive e degli armamenti che – caso unico in Italia, per quanto a nostra conoscenza – fa esplicito riferimento alla legge 185/1990; un regolamento per di più emesso congiuntamente alla Capitaneria di porto di Trieste. Lo abbiamo citato come good practicenegli esposti recentemente rivolti alle autorità portuali genovesi.
Se l’AdSP del Mar Ligure Orientale avesse provveduto a eseguire un’ispezione a bordo della nave, avrebbe potuto constatare la presenza di sistemi d’arma pesanti e di ancor più pericolosi ordigni bellici, destinati a un paese che è in guerra contro popolazioni civili.
LA GUERRA CONTRO IL POPOLO
Evidentemente si conta sulla stanchezza della protesta. Tuttavia è facile prevedere che le proteste non scemeranno, anzi saranno tenute vive dai temibili venti di guerra che soffiano sempre più forte e vicini. Persino le ondate pandemiche, che stanno scuotendo alla base tanto il sistema sanitario quanto quello industriale del cosiddetto Occidente, divengono l’occasione per rendere possibile – o almeno proponibile – quello che razionalmente pare assurdo, cioè la spesa per nuovi armamenti e un complessivo forte aumento del budget della difesa. A scapito della spesa sociale, ovviamente.