Cosa ci porterà questa volta la nave Bahri?

Come dovrebbe essere noto a tutti i cittadini – compresi quelli direttamente interessati, lavoratori, imprenditori, autorità di polizia e doganali, operatori esteri ecc. – un articolo del Trattato sul commercio delle armi vieta ai paesi firmatari di autorizzare un trasferimento di armi convenzionali nel caso queste possano servire a commettere genocidi, crimini contro l’umanità, gravi violazioni della Convezione di Ginevra del 1949, attacchi diretti contro civili e obiettivi civili o altri crimini di guerra. Questo divieto riguarda l’esportazione, l’importazione, il transito, il transhipment e il brokeraggio di tali armi.

Il Trattato è stato firmato da tutti i paesi europei ma non dagli Stati Uniti né dall’Arabia Saudita, tra gli altri. Ad oggi è applicato da 105 paesi del mondo. In particolare l’Italia l’ha firmato nel giugno del 2013 e ratificato nell’aprile 2014, e lo applica – o dovrebbe applicarlo – dal 2015.

Quando una nave della compagnia saudita Bahri tocca un porto italiano abbiamo il diritto, e direi anche il dovere, di preoccuparci di cosa stia trasportando. Da come il nostro paese si comporta si può verificare se è coinvolto in una guerra “sporca” non dichiarata come quella in Yemen, se prevale il business o il diritto umanitario, la legge o la giungla. Come cittadini di un paese che ha il privilegio di essere tra i primi dieci produttori di armamenti del mondo, dobbiamo sapere cosa è compatibile con la nostra Costituzione e cosa non lo è.

Ogni quindici-venti giorni una nave della compagnia Bahri tocca il porto di Genova.

Cosa ci porterà la prossima, cosa avrà già caricato prima di toccare il più importante porto italiano e forse del Mediterraneo? Non possiamo saperlo, noi cittadini. Lo sanno le autorità, in primis l’Autorità Portuale e quella doganale; lo sa l’agenzia marittima che cura il servizio delle linee Bahri. Ma noi cittadini di un paese dove queste navi non mancano mai di attraccare, non dobbiamo sapere quali tipi di armi sono chiuse in stiva, quali merci pericolose, quali esplosivi stanno trasportando, e si trovano in linea d’aria a poche decine di metri dalla città. Persino i lavoratori del porto non lo possono sapere, non hanno accesso alla documentazione, e tantomeno ai ponti delle navi dove sono parcheggiati i blindati, i carri armati, i sistemi d’arma, i missili, gli esplosivi: ormai da mesi, la compagnia Bahri ha dato ordine di chiudere i portelloni interni delle stive durante le soste in porto, per celare i carichi militari a bordo.

Ma i porti da cui provengono le navi Bahri sono di per sé eloquenti, sono quelli da cui passa il gigantesco export militare nordamericano. Dopo le sanzioni britanniche e tedesche, la compagnia saudita ha tralasciato gli scali nordeuropei, e Genova rimane attualmente l’unico porto dell’Unione Europea sempre scalato dalle navi saudite, per rotte sia eastbound che westbound.

APC (Armoured Personnel Carrier) “Panthera” fabbricati a Dubai da MSPV Minerva Special Purpose Vehicles, stivati nel garage di MV Bahri Abha, prima di essere consegnati a Tobruk (Libia), aprile 2016
(fonte: https://www.elbalad.news/2159540?bar=1)

Quanto alle destinazioni di possibile significato militare, sappiamo che queste navi toccano tutte, in ogni viaggio, i porti di Alessandria (Egitto), Jeddah, Gibuti, Jebel Ali (EAU) e da qui – vero hub logistico della compagnia – via feeders a Bahrain, Shuaiba e Shuwaikh (Kuwait), Sohar (Oman), Doha (Qatar). Portano le armi – quelle comprate dagli USA e quelle fabbricate in casa con l’aiuto di tutti i maggiori gruppi militar-industriali occidentali – nel Nordafrica, nella penisola arabica, nel Golfo, e da qui quelle che uccideranno in Yemen, o in Iraq, o in Siria, o in Libia, o in Somalia, ovunque vorranno i re sauditi e gli emiri di Abu Dahbi. In un rapporto del giugno 2017 (https://www.undocs.org/S/2017/466), un panel di esperti ONU indicò proprio la «Bahri Abha» come la nave utilizzata qualche mese prima per rifornire l’esercito del generale libico Haftar di blindati Panthera T6 fabbricati a Dubai e pickup Toyota provenienti dagli Emirati e consegnati a Tobruk: una violazione dell’embargo ONU clamorosa, fatta alla luce del sole.

Bill of lading della MV Bahri Abha, datato 7 aprile 2016, attestante il trasporto di 195 pick-up Land Cruiser Toyota dal porto di Jeddah a Tobruk, Libia (fonte: rapporto degli esperti ONU in Libia, giugno 2017)

Quali sono i porti nordamericani in cui le Bahri fanno il pieno di armamenti? Quattro sono le mete fisse della compagnia saudita, tre negli Stati Uniti (Houston, Wilmington, Baltimora), uno in Canada (Saint John). A questi occasionalmente si aggiungono Pensacola, Corpus Christi, Savannah, Sunny Point, Norfolk.

Passiamoli in rassegna uno per uno, da sud verso nord, da ovest verso est.

HOUSTON – Il porto di Houston è il 3° porto americano, nel 2018 ha movimentato oltre 90 miliardi di $ di merci, per il 70% in export e in massima parte prodotti petroliferi o petrolchimici e relativi derivati. Qui sono dominanti le correnti commerciali da Messico, Cina e Brasile (23% insieme), e anche con i paesi manifatturieri europei come Germania, Paesi Bassi, UK e Italia, tutti nei primi dieci partner.

Quasi certamente, da Houston i servizi di linea di Bahri in rotta estbound approvvigionano i paesi del Golfo e i sauditi soprattutto di attrezzature per i’industria petrolifera e macchinari pesanti. Ma Houston è anche uno dei grandi terminali del commercio globale di attrezzature militari, seconda solo a Wilmington per volumi e valore. In particolare su Houston confluiscono tutte le correnti di export alimentate dal West industriale e dall’industria militare del Texas e del Colorado.

WILMINGTON – Il porto della North Carolina è 36° nella classifica dei porti USA per valore delle merci, 45° per il peso. Il suo giro d’affari ha sfiorato i 10 miliardi di $ nel 2018, cifra nel 2019 probabilmente supererà. Le esportazioni superano le importazioni, soprattutto se considerate in valore e non in peso.

Dell’intero movimento portuale in uscita, le prime tre voci sono bombe, granate e munizioni, parti per aerei militari, e parti di veicoli a motore, che rappresentano rispettivamente il 27, il 10 e il 6,4% dell’export di Wilmington. Se vi sommiamo il 2,4% di apparecchiature militari e l’1,9% di armi (pistole escluse) possiamo affermare che il porto di Wilmington è quello a maggiore caratterizzazione militare negli Stati Uniti. Il partner più importante è l’Arabia Saudita (1,64 miliardi di $, 20% di tutto il movimento portuale) che precede la Cina (14%), ma nei sensi opposti, l’Arabia Saudita come acquirente di prodotti americani, la Cina come venditrice dei propri prodotti (soprattutto prodotti tessili, parti di veicoli, attrezzature per le costruzioni). Arabia Saudita e gli altri partner del Golfo – Qatar (8° cliente commerciale di Wilmington) e Emirati Arabi Uniti (10° cliente) – assorbono gran parte del materiale militare per transita per Wilmington.

Per Wilmington e Houston passa complessivamente oltre il 60% dell’export USA di bombe, granate, munizioni e relative parti, e il 58% di questo export è destinato ad Arabia Saudita, Emirati e Qatar.

Ricordiamo qui che con lo scoppio del conflitto in Yemen l’Arabia Saudita è diventato il maggior importatore di armi al mondo, nel solo 2018 ha speso 70 miliardi di $ in armi, quasi il 9% del suo PIL. Di questo gigantesco flusso di denaro hanno beneficiato tutti i paesi esportatori di armi, ma innanzi tutto gli Stati Uniti (70%) e UK (10%). Nello scorso giugno il presidente Trump ha dato il via libera a 22 contratti per fornire Arabia Saudita, EAU e Giordania, che includono bombe di precisione della Raytheon (precision-guided munitions, PGM) da adattare agli F-15 sauditi, missili anti-tank Javelin (fabbricati da Raytheon e Lockheed Martin), motori General Electric per gli F-16 degli Emirati, bombe di precisione Paveway IV (sistema che interessa le filiali americane di alcuni produttori europei). Nel 2018 gli Stati Uniti hanno venduto all’Arabia Saudita 298 milioni di $ di missili Paveway, 98 milioni di munizioni diverse e 95 milioni di bombe programmabili, oltre a 670 milioni di BGM-71 TOW (missile anti-tank della Raytheon, le cui testate sono fornite da Aerojet e fabbricate nello stabilimento di Socorro, New Mexico), 1,3 miliardi di $ per obici medi semoventi e almeno 600 milioni in “servizi di manutenzione”. 

BALTIMORE – È per importanza il 9° porto degli Stati Uniti, una delle principali porte per l’import soprattutto europeo e asiatico. L’export rappresenta solo un quarto del movimento in valore, rilevante – per l’aspetto defence logistics – soprattutto per autoveicoli e aerospazio, prodotti nelle nuove aree industriali della Virginia e del Midwest.

Dundalk è il più grande terminal per general cargo del porto di Baltimora, Maryland, accesso per container, auto, e attrezzature Ro/Ro. Qui Wallenius Wilhelmsen – il leader mondiale del car carrying – ha posto il suo hub per servire tutta la East Coast. La stessa Leonardo – che ha venduto elicotteri AW139 alla polizia del Maryland, e che possiede un proprio impianto produttivo a Philadelphia, nella vicina Pennsylvania – sottolinea di essere un primario utente del terminale di Dundalk, dal quale passano elicotteri completi e componenti per elicotteri.

SAINT JOHN – Il porto del New Brunswick è il maggiore porto canadese sull’Atlantico. Occupa la gigantesca superficie di 120 ettari, con un waterfront di 3900 m alla foce del Saint John River, le cui acque mitigano le forti escursioni di marea. Forte nelle rinfuse secche (30 milioni di t movimentate nel 2017), il porto ha affidato per trent’anni il terminal general purpose a DP World, uno dei maggiori operatori portuali globali nato dalla fusione tra Dubai Ports Authority e CSX World Terminal, società quotata al Nasdaq ma controllata dai capitali emiratini. Il punto di forza di Saint John è il collegamento intermodale con la regione industriale dell’Ontario, cuore pulsante dell’economia industriale canadese, grazie a una potente infrastruttura ferroviaria ben interconnessa.

LAV (Light Armoured Vehicles) mod. 6.0 fabbricati da General Dynamics a London (Ontario), trasportati su ferrovia al porto di Saint John per essere consegnati in Arabia Saudita (fonte: media canadesi)

È sui binari che, dopo un viaggio di 3200 km, giungono a Saint John i blindati leggeri (LAV) prodotti da GDLS-C (General Dynamic Land System-Canada) nello stabilimento di London (Ontario) e destinati all’Arabia Saudita. La GDLS-USA sorse negli anni Ottanta dall’acquisizione di Chrysler Defence da parte di General Dynamic Co., il mega gruppo che oggi occupa il sesto posto nella graduatoria mondiale dei maggiori defence contractors. La sua sussidiaria canadese acquistò nel 2003 la GM Defence dalla General Motors, divenendo leader nel segmento dei veicoli blindati, in gran parte varianti approntate sullo chassis del Piranha ideato dalla svizzera MOWAG (anch’essa assorbita nel 2010).

Proteste nel porto di Saint John contro le vendite di armi all’Arabia Saudita, dicembre 2018 (fonte: media canadesi)

Sebbene avvolto dal “segreto commerciale” – un’ipocrita formula per coprire gli affari scomodi – il valore del contratto con cui GDLS-C si è aggiudicata la fornitura di 928 blindati leggeri all’Arabia Saudita è stimato attorno ai 15 miliardi di $, abbastanza per garantire 14 anni di lavoro ai 2000 dipendenti di GDLS-C. Tuttavia è bastato sollevare dubbi sul contratto e i suoi possibili legami con le forniture petrolifere di Aramco, perché i sauditi cominciassero a rallentare i pagamenti e i sindacati canadesi a lamentare un’eccessiva attenzione dei media sull’affare, che in Canada ha preso una seria dimensione politica e diplomatica e ha sollevato proteste per l’evidente implicazione nella guerra in Yemen. Da segnalare che le prime azioni di protesta dei dockers contro le navi Bahri cominciarono proprio a Saint John, nel dicembre 2018, quando membri dell’International Longshoremen’s Association Local 273 rifiutarono di oltrepassare i picchetti pacifisti contro l’imbarco dei LAV di fabbricazione canadese. Nonostante una “sospensione” del contratto, non meglio definita, da parte del governo Trudeau, le consegne dei blindati sono continuate anche nel 2019, per un importo superiore al mezzo miliardo di dollari.

PENSACOLA – È un porto di piccole dimensioni, il più occidentale nello Stato della Florida, che si colloca oltre il 90° posto nella classifica dei porti USA con 81 milioni di $ di merci movimentate nei primi dieci mesi del 2019, un valore però quasi doppio rispetto allo stesso periodo del 2018. Nel solo mese di ottobre 2019 ha movimentato oltre 20 milioni di $ (un terzo dell’intero movimento del 2018). Ha una vocazione quasi esclusivamente all’import (93% del movimento), soprattutto da Brasile e Cina, e verso l’estero esporta soprattutto materie prime e semilavorati per l’industria cartaria. Il porto di Pensacola può attivare all’occorrenza proprie aree di “porto franco” (si tratta della Foreign Trade Zone 249), in genere utilizzate per differire o eliminare i dazi doganali statunitensi e altre imposte.

La base aeronavale di Pensacola, Florida.

Non va tralasciato, però, che proprio a Pensacola ha sede la più grande base aero-navale americana (e quindi del mondo…), dove si formano gli ufficiali aerei e i piloti di tre corpi delle forze armate USA (Navy, Marines e Coast Guard), oltre che quelli di numerosi paesi alleati. La Naval Air Station Pensacola è recentemente balzata agli onori delle cronache per l’ennesimo mass shooting, di cui si è reso protagonista un giovane pilota dell’aviazione saudita in addestramento, con quattro vittime e numerosi feriti.

CORPUS CHRISTI – Il porto texano è 13° per valore ma 4° in tonnellaggio per merci movimentate nei porti americani. Al contrario del vicino (200 km a sud) e concorrente porto di Brownsville, è più decisamente orientato all’export (circa l’80% del movimento totale) soprattutto di greggio e prodotti petroliferi, ma anche per il macchinario pesante e per movimento terra. Gli Emirati sono tra i primi 15 partner commerciali del porto, peraltro in crescita (circa +8% su base annua). Decisiva la relazione di Corpus Christi col principale porto messicano, Veracruz.

NORFOLK – Integrato nella Virginia Port Authority insieme ai vicini terminal di Portsmouth e Newport News, il Norfolk International Terminal (NIT) ne è il punto forte. Vanta numerosi record, è situato a sole due ore e mezza di navigazione dal mare aperto; il 37% delle merci è movimentato su ferro; è il solo porto della costa orientale con fondali certificati di oltre 16 m, quindi può accogliere le mega portacontenitori “Classe G”.

Nel complesso, il VPA è più decisamente orientato all’import (due terzi del movimento complessivo), con partner tradizionali in primo piano (Cina, Germania, India, Italia, Giappone i primi cinque) e predilezione per le relazioni con l’Europa. Arabia Saudita e Emirati sono invece tra i grandi clienti dell’export che passa per Norfolk, rispettivamente con 405 e 285 milioni di $ nei primi 10 mesi del 2019.

SAVANNAH – Con 91 miliardi di $ di merci movimentate, il porto georgiano di Savannah è nei top ten degli Stati Uniti, molto orientato all’importazione (tre quarti del movimento complessivo) mentre in uscita predomina il tipico mix agro-industriale del Sud (automotive, cotone, materie prime cartarie, aerospazio). I maggiori partner commerciali sono gli stessi di Norfolk e in genere della costa orientale (Cina, Giappone, Corea del Sud, India, Germania) e rapida crescita del Far East non cinese. Per una linea di Con/Ro come quella offerta dalle sei navi Bahri, è chiaro l’intento di partecipare al traffico container nelle relazioni transatlantiche.

Personale civile scarica container di munizioni da una nave militarizzata nel terminal di Sunny Point, marzo 2015
(fonte: US Army)

SUNNY POINT – Non è in realtà un porto, invece è probabilmente il maggior terminal militare del mondo. Il nome completo è Military Ocean Terminal Sunny Point (MOTSU), un colossale punto di interscambio modale ferrovia-strada-nave specializzato nel rifornimento di munizioni alle forze armate USA e alla Guardia Nazionale, oltre che agli eserciti dei paesi alleati nel quadro del programma FMS (Foreign Military Sales). Circa l’85% delle munizioni utilizzate nei conflitti recenti, dal Vietnam in poi, è passato per Sunny Point, il restante attraverso Concord (MOTCO), il terminal situato nell’estuario del Sacramento, in California. È stato costruito tra 1952 e 1955, non lontano dall’antico insediamento coloniale di Brunswick e dai resti di Fort Anderson, piazzaforte confederale durante la Guerra civile posto in posizione strategica, a controllo dell’accesso del fiume Cape Fear e dell’importante porto di Wilmington, situato una ventina di km più a nord.

Il terminal occupa un’area di quasi 6.500 ha. su entrambe le rive del Cape Fear River. Una estesissima buffer area separa i magazzini e i pontili dagli abitati più vicini, imposta dalle severe ragioni di sicurezza adottate come conseguenza del gravissimo incidente occorso nel luglio del 1944, noto come Port Chicago disaster. Nello scoppio di una nave che caricava munizioni rimasero uccisi 320 e feriti 390 marinai, in gran parte afro-americani. Ne cui seguì uno sciopero di protesta in cui 350 marinai si rifiutarono di caricare munizioni destinate ai teatri di guerra in Europa. Un consistente gruppo, una cinquantina di marinai tutti afro-americani, venne processato per ammutinamento di massa in tempo di guerra e duramente sanzionato. Grazie però a un lungo lavoro di controinformazione (e a un episodio della serie tv “JAG” trasmesso nel 2002), l’episodio è oggi considerato l’esordio del movimento black contro la discriminazione razziale nelle forze armate USA.

Il porto ha tre moli operativi in acque profonde, e dal 2012 è dotato anche di due gru di fabbricazione coreana da 60 t. La movimentazione media di Sunny Point degli ultimi due anni è stata di 370 container e di una nave alla settimana, sotto la gestione di un distaccamento della 596a Brigata Trasporti dell’esercito, 26 soldati e 350 civili. Fatto rilevante, dispone di una squadra permanente di vigili del fuoco, addestrati alle particolari merci movimentate a Sunny Point.

(Carlo Tombola)