L’Autorità di Sistema Portuale di Genova avvierà a settembre un tavolo aperto alle parti sociali sulla problematica delle cosiddette “navi delle armi” o “navi della morte” della compagnia saudita Bahri, che scalano regolarmente da qualche anno le banchine del capoluogo, trasportando spesso armamenti caricati in Nord America e destinati alle forze armate dell’Arabia Saudita.
Lo ha confermato, specificando che data la materia la sede sarà però la Prefettura, l’ente portuale dopo aver ricevuto una delegazione dell’Usb – Unione Sindacale di Base (accompagnata da rappresentanti della ong Weapon Watch), sigla affiancatasi con diverse altre organizzazioni non governative al Calp – Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali che per primo sollevò un paio di anni fa il tema in relazione alla compatibilità di tale traffico con le norme italiane e in particolare la legge 185 del 1990.
Tale legge, infatti, fra le altre cose vieta non solo l’esportazione ma anche il transito di armi verso paesi in conflitto quale è l’Arabia rispetto allo Yemen, guerra dalle arcinote sanguinose ricadute anche civili eppure, non a caso, riconosciuta ufficialmente solo a mezza voce. La Camera, ad ogni modo, con due risoluzioni approvate lo scorso dicembre, ha impegnato il governo a revocare le licenze in essere per l’export di armi italiane verso l’Arabia Saudita (e gli alleati degli Emirati Arabi Uniti), spazzando ogni dubbio sulla sussistenza della fattispecie giuridica che dovrebbe impedire anche il transito sul territorio nazionale.
Ecco perché, in occasione dell’approdo oggi a Genova della Bahri Jazan, Usb e Calp hanno organizzato un presidio e consegnato al segretario generale dell’Adsp Paolo Piacenza e per conoscenza a Capitaneria di Porto e Prefettura una richiesta di controlli di natura non solo sindacale, ma giuridica, redatta da uno studio legale e accompagnata da un’istanza di accesso agli atti relativi al materiale trasportato dalla nave in questione.
Messaggio accompagnato anche da una richiesta (allargata a Ispettorato del Lavoro e Asl) “di intervento urgente per verificare l’efficacia delle misure di sicurezza nelle operazioni portuali con navi che trasportano armi e materiali esplosivo”, dal momento che, spiega la nota Usb, sarebbero state rilevate carenze “nelle misure di sicurezza nelle operazioni, di questa tipologia, effettuate in precedenza nel porto di Genova. Ad esempio la movimentazione di una motrice in sospensione su container contenenti esplosivo caricati su una nave Bahri, avvenuta alcune settimane fa”.
Lungi dal testimoniare la volontà dello Stato di applicare le proprie leggi, l’apertura dell’Adsp rappresenta tuttavia un primo segnale di una qualche forma di presa di coscienza, da parte delle amministrazioni interessate, di una tematica sentita in porto ma anche fuori, in attesa che altrettanto faccia il Governo, inadempiente rispetto alle interrogazioni (arrivate a 6 con l’ultima depositata poche settimane fa dal senatore Mattia Crucioli) inerenti il caso della compatibilità dei traffici Bahri con la legge italiana.
Le vie della pace passano da Genova. Lunedì i lavoratori del porto hanno cercato d’impedire
l’attracco della Bahri Yanbu, un cargo della compagnia statale di
trasporti saudita. Ogni venti giorni sei navi della Bahri prendono armi e
materiale bellico in Nordamerica e da lì, passando per diversi porti
europei, arrivano in Medio Oriente, dove scaricano il materiale che poi
raggiunge zone di guerra come lo Yemen, il confine tra Turchia e Siria,
il Kashmir.
Una scia di mobilitazioni accompagna di solito le tappe europee delle
navi della Bahri: Le Havre, Marsiglia e Cherbourg in Francia, Tilbury e
Sheernes nel Regno Unito, Bremerhaven in Germania, Bilbao in Spagna e
Anversa, in Belgio, dove recentemente alla Bahri Yanbu è stato impedito
d’attraccare.
Nel maggio del 2019 la protesta dei camalli, come si chiamano i
lavoratori del porto di Genova, insieme ai movimenti pacifisti, ai
sindacati, al Calp, il Collettivo autonomo lavoratori portuali, e a
organizzazioni come Weapon watch e Amnesty international,
aveva impedito che sulla Bahri Yanbu fossero caricati due generatori
elettrici destinati ad alimentare i droni usati per bombardare lo Yemen.
È una battaglia difficile, per la presenza in Liguria di molti
stabilimenti che producono armi, e in un paese, l’Italia, che nel
2018 ha esportato 2,5 miliardi di euro di armamenti.
“Non vogliamo sottrarre lavoro alla città. E non lo facciamo solo per
ragioni etiche, ma anche di sicurezza, per noi e per tutti i genovesi”,
hanno spiegato due portuali del Calp in un’intervista pubblicata in
Italia dal giornale online Fivedabliu e negli Stati Uniti da Jacobin.
“Però non possiamo sentirci tranquilli con la nostra coscienza quando
carichiamo navi con materiale che viene usato nelle guerre in giro per
il mondo. E così abbiamo detto basta. Ovviamente non ci battiamo solo
contro il commercio di armamenti, ma anche per i diritti dei lavoratori,
che devono essere partecipi, devono rendersi conto di quello che
fanno”.
Questo articolo è uscito sul numero 1346 di Internazionale.