LA GUERRA PARTE DA GENOVA, DA GENOVA RIPARTE ANCHE LA PACE

La ‘marcia della pace’ che si è svolta sabato 2 aprile a Genova rappresenta un avvenimento importante, e in parte anche una novità politica.

Mons. Marco Tasca e don Renato Sacco sul sagrato di San Lorenzo, alla marcia della pace del 2 aprile, conclusasi davanti a Palazzo San Giorgio, sede dell’Autorità di Sistema Portuale di Genova e Savona. Gli organizzatori hanno indirizzato al presidente Paolo Emilio Signorini una “lettera aperta” che chiede il rispetto delle leggi e dei trattati internazionali, e l’apertura di un dialogo che si attende da tre anni.

È un avvenimento importante, perché davanti alla cattedrale di San Lorenzo si sono trovati insieme i portuali del Collettivo Autonomo e gli scout dell’Agesci, lo striscione dell’ANPI e quello dell’Ora in silenzio contro la guerra, le bandiere della pace e quelle del sindacato USB, e una variegata folla ha ascoltato le parole di don Renato Sacco (Pax Christi) e quelle del vescovo di Savona e del vescovo di Genova. Il significato è chiaro: la lotta dei portuali del Collettivo, sin qui protagonisti di un braccio di ferro in porto contro le “navi della morte”, è ora patrimonio collettivo di un sentire molto più ampio, è veramente divenuta la voce che sale dal basso contro tutte le guerre.

A loro – e non ai gagliardetti militari – va la benedizione della Chiesa ufficiale, al punto che anche la Commissione Episcopale Italiana ha voluto mandare il suo saluto attraverso un messaggio di mons. Renna, presidente della Commissione per i problemi sociali e il lavoro: «Rimetti la spada nel fodero! (…) La dottrina sociale della Chiesa propone la meta di un disarmo generale, equilibrato e controllato. L’enorme aumento delle armi rappresenta una minaccia grave per la stabilità e la pace. Il principio di sufficienza, in virtù del quale uno Stato può possedere unicamente i mezzi necessari per la sua legittima difesa, dev’essere applicato sia dagli Stati che comprano armi sia da quelli che le producono e le forniscono».

La novità politica era contenuta nella seconda parte della ‘marcia’, chiusasi di fronte alla sede dell’Autorità portuale di Genova, dove ha simbolicamente consegnato una lettera aperta al presidente Paolo Emilio Signorini. Una novità solo parziale, dal momento che più volte Weapon Watch e le associazioni della società civile che l’affiancano si sono già rivolte alle autorità genovesi, e anche alla magistratura, perché nel porto di Genova si tornasse a operare dentro la cornice della legalità e si rispettase sia il divieto di transito di armi che possano contribuire a compiere crimini di guerra contro i civili o gravi violazioni dei diritti umani, sia l’imperativo della trasparenza degli atti amministrativi.

Sinora il nostro appello al rispetto delle leggi e dei trattati internazionali non è stato raccolto, e neppure quello della trasparenza. Ora – e qui sta la novità “politica” della giornata del 2 aprile – queste richieste vengono ribadite da una voce ben più forte, quella della Chiesa ufficiale, dei vescovi e della CEI, che è poi la stessa “Chiesa che cammina” che è già concretamente presente nelle città ucraine bombardate. Ora la richiesta dell’apertura di un dialogo pubblico sulle questioni sollevate tre anni fa dal Collettivo dei portuali genovesi non può più essere ignorata, anzi verrà portata anche negli altri porti italiani da cui transitano le armi utilizzate in tutti gli insensati conflitti in corso.