02 Feb Dick Marty, un cercatore di verità
Rese pubbliche le extraordinary renditions della CIA, e il vergognoso coinvolgimento europeo
La scomparsa di Dick Marty, lo scorso 28 dicembre, ci dà l’occasione per ricordare il caso delle extraordinary renditions, caso la cui importanza storica è pari alla sua attualità politica. È stata infatti una vicenda gravissima, che mostrò alle opinioni pubbliche occidentali l’indebolimento dello stato di diritto di fronte alle esigenze della lotta contro il terrorismo. Ne è conseguito, tra l’altro, un grave deterioramento dell’immagine dell’Unione Europea quale spazio di libertà e giustizia nel benessere, nonché di protagonista nella costruzione concorde e pacifica di un mondo multipolare.
Quell’immagine si era già appannata dopo un decennio di guerre in Iugoslavia e le invasioni dell’Afghanistan (2001) e dell’Iraq (2003), con la decisa svolta della Nato verso l’interventismo militare e la proiezione globale. Ma quando divenne evidente la connivenza dei governi europei nell’uso sistematico della tortura, praticata in paesi noti per lo scarso rispetto dei diritti umani sotto la gestione della CIA, fu chiaro che l’Europa aveva imboccato una strada senza ritorno. Oggi ne vediamo in atto le perverse conseguenze, compresa l’applicazione del principio dei “due pesi e due misure” ovunque si accenda un focolaio di terza guerra mondiale, e principalmente riguardo al destino del popolo palestinese.
Dick Marty (1945-2023) iniziò la sua carriera come procuratore pubblico. Poiché nella Confederazione elvetica i magistrati inquirenti sono di nomina politica, non stupisce che i suoi meriti nella lotta contro il traffico di stupefacenti lo abbiano poi portato a un seggio nel parlamento cantonale del Ticino e quindi nell’Assemblea federale, nelle file del Partito radical-democratico. Tra 1998 e 2011 è nell’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa in rappresentanza della Svizzera, ed è in questo ruolo che partecipa a numerose inchieste internazionali, per ultima quella sul traffico di organi gestito dall’Esercito di liberazione del Kosovo, in conseguenza della quale ha dovuto vivere per parecchi mesi sotto protezione.
Qui vogliamo ricordarlo per essere stato il rapporteur al Consiglio d’Europa sul caso delle cosiddette “prigioni segrete della CIA”. Marty firmò un pre-rapporto nel gennaio 2006 e un rapporto finale, a sei mesi di distanza. Li pubblichiamo entrambi, scaricabili dal nostro sito, alla pagina REPORT.
Fu quella una stagione molto intensa di indagini e inchieste giornalistiche, che vide impegnati molti ricercatori indipendenti e uomini politici di provata vocazione alla verità, quale Marty stesso si è definito. Un’inchiesta giudiziaria su tutte contribuì a far cadere il velo del segreto sulla sequenza impressionante di azioni illegali alla base di ogni rapimento, deportazione e tortura di centinaia di sospetti terroristi: la Procura di Milano riuscì a ricostruire il caso del mullah Abu Omar, rapito per strada a Milano nel 2003, e ricomparso al Cairo dopo due anni di torture in un carcere segreto. Il processo che ne seguì, con la condanna dei ventitrè agenti della CIA che effettuarono il rapimento e organizzarono la “spedizione” insieme a due funzionari dei servizi italiani, svelò la rete delle connivenze politiche e delle pressioni USA per insabbiare le indagini.
Marty e Claudio Fava, che firmò un analogo rapporto per il parlamento europeo, si avvalsero tra l’altro di un’inchiesta di Amnesty International, pubblicata nell’aprile 2006 con il titolo USA: Below the radar: Secret flights to torture and ‘disappearance’, redatto con la collaborazione del centro di ricerca TransArms, e in particolare di Sergio Finardi.