“CAPUCINE”, UN’ALTRA NAVE DI ARMI E BOMBE IN UN PORTO ‘DISARMATO’

Il porto di Monfalcone – porto di Categoria II, classe II, secondo il piano regolatore portuale – non è abilitato a ricevere armamenti. Tuttavia sono anni che questa prescrizione viene regolarmente ignorata, nonostante le successive proteste dei lavoratori portuali e le assicurazione dell’Autorità portuale e del suo presidente Zeno D’Agostino.

Un’ennesima prova delle gravi violazioni delle norme si è registrata il 6 dicembre scorso, e riguarda la nave ro-ro “Capucine” che – secondo le denunce dei lavoratori – è arrivata a Monfalcone per caricare armi ed esplosivi, tra cui container con contrassegni classe IMO 1.4.

Il container su un trailer portuale sta per essere caricato sulla “Capucine” a Monfalcone, il 6 dicembre 2023.
Ben visibile la losanga arancione che segnala la presenza di merce esplosiva.

L’osservatorio Weapon Watch ha già segnalato il coinvolgimento della “Capucine” in trasporti di armi nei porti italiani.

Nell’agosto 2019 il Coordinamento di Livorno dei Vigili del Fuoco aderenti all’USB (Unione Sin­dacale di Base) di Piombino ha denunciato un consistente imbarco sulla “Capucine” di mezzi, uomini ed esplosivi diretti all’esercitazione congiun­ta denominata NASR 2019, una collaborazione militare tra le FF.AA. ita­liane e quelle della monar­chia assoluta del Qatar.

Nell’ottobre 2022 la “Capucine” ha portato in successivi viaggi a Sant’Antioco (Sardegna) obici, carri armati, container di munizioni e materiali bellici per «attività addestrative orientate al warfighting», da svolgere nel poligono di Capo Teulada, secondo i comunicati dello Stato maggiore dell’Esercito. Attività del genere, in preparazione della guerra, non si erano mai svolte in Italia dall’ultimo dopoguerra. La “Capucine” ha svolto in particolare il collegamento Ravenna-Sant’Antioco sempre a pieno carico, alla velocità massima di dieci nodi.

Nel maggio 2023 la Guardia costiera di Bari ha ordinato che per una settimana la banchina Massi/Molo Pizzoli del porto di Bari sarebbe stata esclusivamente riservata all’imbarco di veicoli militari per conto dell’Esercito italiano. Secondo fonti locali, si è trattato di un massiccio trasporto di blindati verso il porto greco di Alessandropoli, dove gli Stati Uniti hanno una grande base logistica per il rifornimento via terra (attraverso Bulgaria e Romania) di armi pesanti all’Ucraina. La nave ro-ro che ha effettuato l’operazione è ancora la “Capucine”.

Nel febbraio 2023, con una lettera inviata ai Prefetti di Gorizia e Trieste l’Unione sindacale di base (Usb) di Monfalcone ha proclamato lo stato di agitazione contro il passaggio di armi (millecinquecento «mezzi militari di logistica ma anche di mezzi offensivi – obici – con ignota destinazione») dal porto di Monfalcone. La nave in questione questa volta è la “Severine”, gemella della “Capucine”. Nell’occasione, l’Autorità portuale ha smentito categoricamente la protesta dei lavoratori, affermando che «si tratta di mezzi disarmati, con nessuna destinazione offensiva. Strumenti militari del nostro Esercito destinati all’addestramento nella base di Sant’Antioco, in Sardegna».

Tuttavia, come ha sottolineato Weapon Watch in un articolo pubblicato nel marzo 2023, «la “Severine”, ripartita da Monfalcone il 2 febbraio, è ricomparsa a Bari 11 giorni dopo, quindi ha sostato brevemente a Ortona – dove si trova lo stabilimento della società Tekne, che ha in corso una consegna da 3,3 milioni di dollari per 11 blindati MLS Shield ordinati dal governo ucraino nel 2019 – e finalmente è ripartita per raggiungere il porto greco di Alexandroupoli, uno dei terminali fondamentali della logistica USA a sostegno dell’Ucraina».

Su quel periodo di 11 giorni si possono avanzare ipotesi, la prima che la nave abbia spento il segnale AIS, sebbene sia vietato dalle convenzioni internazionali, eccetto in caso di gravi minacce alla sicurezza della nave. In questo caso la “Severine” avrebbe effettivamente compiuto la tratta Monfalcone-Sant’Antioco, percorribile in 4 giorni, e quindi giunta a Bari dopo altri 7 giorni avrebbe riattivato il segnale.

Segnaliamo che le due navi citate, “Capucine” e “Severine”, sono al servizio del Ministero della Difesa italiano ad uso esclusivo e non continuativo. Lo sono da alcuni anni, in forza degli appalti ripetutamente vinti dalla società DSV Spa – filiale italiana del gruppo danese DSV che nel 2016 acquisì il gruppo SAIMA Avandero – per svolgere le spedizioni militari italiane, sia marittime che aeree.

SIno a due anni fa le navi appartenevano a una grande società armatrice di Anversa, la Cobelfret. In seguito hanno cambiato formalmente proprietà, e ora appartengono entrambe alla società lussemburghese Cadena Roro SA. La gestione della “Capucine” è affidata a Euroship Service Ltd. di Purfleet (UK), mentre la “Severine” è gestita da CLDN SA, società con sede allo stesso indirizzo della società proprietaria Cadena Roro SA e dove ha sede la stessa capogruppo Cobelfret.

Alcuni anni fa il porto di Monfalcone è stato al centro delle denunce dei lavoratori per il clamoroso caso della “Norderney”, un cargo con bandiera di Antigua&Barbuda, che nel maggio 2019 si presentò stracarico di armi, 360 bazooka e 415 missili anticarro provenienti dall’Ucraina. Di fronte alle prove portate dai lavoratori e dalle organizzazioni sindacali, che pubblicarono la polizza di carico con l’elenco completo degli armamenti, le autorità usarono la solita scappatoia («le merci sono in transito e non vengono movimentate in porto»), ma le carenze emerse sull’aspetto della sicurezza dei lavoratori furono gravi e palesi.

L’articolo pubblicato a firma di Andrea Moizo da «Il Fatto Quotidiano» del 29 maggio 2019, sul caso della “Norderney”.