ARMI A OLTRANZA? QUANTO CI COSTERA’ E CHI CI GUADAGNERA’

I sacrifici che ci aspettano – Al Congresso americano i rappresentanti eletti si stanno chiedendo di quanto sarà la fattura della guerra in Ucraina e chi dovrà pagarla (ne riferisce su Il Fatto quotidiano del 2 marzo 2023 A. Ciancio, “Il Congresso avanza dubbi sugli aiuti militari a Zelensky”). Democratici e repubblicani concordano che il conto dovrà essere sopportato anche dai paesi europei, e c’è chi afferma che dovrebbe essere almeno paragonabile alla quota del pil già spesa dagli Stati. I paesi baltici, quelli scandinavi, la Polonia, la Repubblica ceca sono al di sopra di questa quota, Germania, Regno Unito, Francia, Italia al di sotto.

La fattura italiana – L’Italia è il solo paese occidentale in cui l’opposizione alla guerra è così forte ed estesa. Per questo i governi italiani Draghi e Meloni hanno voluto nascondere le dimensioni del coinvolgimento militare, l’invio delle armi, la spesa presente e soprattutto quella futura.

Eppure l’Italia, l’Europa stanno partecipando attivamente a una guerra, insieme a paesi che si promettono reciprocamente di farlo a oltranza, “fino alla vittoria”, costi quello che costi.

Ora è facile prevedere – perché è accaduto in tutte le guerre! – che i costi saranno distribuiti tra i popoli, innanzi tutto tra russi e ucraini, due popoli affratellati dalla lunga serie di tragedie comuni e che si dividono un territorio oggi divenuto area dello scontro tra due blocchi diversamente aggressivi. Ma è altrettanto prevedibile che non saranno i soli a pagare, abbiamo cominciato tutti a subire l’economia di guerra, l’alta inflazione, il caro energia, la riduzione di importanti capitoli della spesa sociale, in particolare il sostegno alla disoccupazione, le spese sanitarie, l’istruzione.

Intanto è stata già messa in circolazione l’idea che i cittadini italiani in età possano essere chiamati alle armi per combattere, in alternativa sarà necessario armare e addestrare una consistente riserva di volontari (Gianluca Di Feo, “La lezione del Donbass: ora l’Europa rivaluta la leva obbligatoria”, Repubblica online, 16 febbraio 2023)

A quanto ammonta l’aiuto italiano – Da un anno, mezzi terrestri aerei e navali e 1.300 militari italiani sono a disposizione della Nato inseriti nella “forza ad elevata prontezza” (Very High Readiness Joint Task Force).

Inoltre, fino a oggi il governo ha adottato sei pacchetti di invii di armi prelevate dalle riserve delle forze armate italiane e donate all’Ucraina. È difficile valutarne il costo, anche perché saranno rimpiazzate da attrezzature più moderne il cui costo lieviterà inevitabilmente rispetto a quelle donate, in parte vecchi stock risalenti agli anni sessanta e settanta, mentre ricostituire le scorte diventerà urgente.

L’Osservatorio Mil€x in ottobre faceva la cifra di 450 milioni di euro, ormai largamente superata con l’invio del gennaio scorso, mentre un settimo pacchetto è già in preparazione.

Un Multiple Launch Rocket System (MLRS) in azione. Lancia missili dotati di sistema GPS mediante un sistema di auto-caricamento e auto-puntamento automatizzato.

La lista dei materiali donati – Nel febbraio 2022 il parlamento italiano ha approvato un decreto legge e relativo “atto di indirizzo” con cui ha dato carta bianca al governo per trasferire armi in deroga alla Legge 185 del 1990, deroga che era limitata al 2022 ma che è stata prorogata a tutto il 2023.

Di fatto il governo ha sottratto alla discussione pubblica quantità e tipologie di armi. Tuttavia attraverso rivelazioni della stampa e dichiarazioni degli stessi ministri, il segreto sulle armi inviate in Ucraina è stato largamente aggirato.

Possiamo farne una lista approssimativa:

– 2 o più lanciamissili semoventi MLRS-I, gittata 80 km. L’esercito ne possiede 18, tutti in dotazione al reggimento artiglieri “Superga” di stanza a Portogruaro;

– probabilmente 6 (dei 68 in dotazione) obici semoventi PZH-2000 di fabbricazione tedesca, con cannoni da 155 mm, gittata 40 km, frequenza di tiro 9-10 colpi/minuto;

– tra 20 e 30 (sui 221 in dotazione) obici semoventi M109L, con cannoni Oto Melara da 155 mm, gittata 24 km;

– obici trainati FH-70, con cannoni Oto Melara da 155 mm, stessa gittata: l’esercito ne aveva in dotazione 162, Germania e Regno Unito li stanno disarmando;

– veicoli APC (trasporto truppe) M113: dopo averne rottamati oltre 700, l’esercito ne conservava efficienti 25, quelli probabilmente destinati a Kiev;

– blindati Lince 4×4;

– mortai pesanti da 120 mm RT-61;

– mitragliatrici medie Beretta MG 42/59;

– mitragliatrici pesanti Browning M2;

– autocarri 6×6 Iveco Astra SM 66.40, per il traino degli FH-70.

Veicoli 6×6 Iveco Astra trainano gli obici FH-70, in Ucraina (novembre 2022).

Nel campo delle munizioni – il più critico – si sta dando fondo ai magazzini e spingendo al massimo la capacità produttiva dei fornitori. La lista include: missili Milan anticarro, missili controcarro israeliani Spike, missili Stinger, missili Aspide. Munizioni calibro 7.62 fabbricate da Fiocchi per mitragliatrice MG 42 sono state ripetutamente fotografate in Ucraina.

Munizioni cal. 7.62 per mitragliatrice MG 42 di fabbricazione Fiocchi Munizioni, in Ucraina

Aumentano le spese – Il governo sta alzando la qualità tecnica degli invii, e quindi i relativi costi del rimpiazzo. Nell’ultimo pacchetto di gennaio sono stati incluse le piattaforme francesi antiaereo SAMP-T su camion 8×8 Astra, gittata 80-100 km, con missili Aster 30. L’esercito ha in dotazione 5 batterie SAMP-T assegnate al reggimento contraerei “Peschiera” di Mantova, costate complessivamente circa 1 miliardo di euro. Un giornale francese ha parlato di un accordo franco-italiano per dotare le piattaforme di 700 missili Aster, una commessa da 2 miliardi di euro non confermata dal governo di Roma.

L’offerta missilistica di MBDA, joint-venture di Airbus e BAE Systems con una partecipazione minoritaria di Leonardo.
Da sinistra: il. missile terra-aria VL-MICA (Vertical Launch), la più recente versione di Aster 30 (Block 1 TN) capace di intercettare missili balistici, e il modello Extended Range della famiglia CAMM per lanciatori installabili su nave.

Chi ci guadagnerà (in Italia) – La crescita della spesa militare italiana beneficerà solo un piccolo gruppo di aziende, che impiega un numero tutto sommato abbastanza modesto di lavoratori.

Secondo i primi dati ricavabili dall’Atlante dell’industria italiana della difesa di Weapon Watch, il nucleo forte delle aziende che producono per il settore difesa-sicurezza è costituito da circa duecento aziende, quelle che hanno esportato armamenti negli ultimi sei anni. Il loro fatturato complessivo annuo si è collocato nel periodo tra 21 e 23 miliardi di euro, mentre le esportazioni complessive hanno oscillato più fortemente, tra 3,6 e 14,6 miliardi di euro. Mediamente l’export è stimabile attorno al 20% del fatturato complessivo.

Di questo gruppo di aziende, solo nove superano i 300 milioni di fatturato annuo, ma da sole queste nove concentrano ben il 71%del fatturato del sottogruppo, e il 42% di tutto l’export militare. Ben quattro tra le prime nove società per fatturato sono guidate da manager nominati direttamente o indirettamente dal governo, con capitali prevalentemente o totalmente pubblici. Le prime due sono Leonardo e Fincantieri. Le rimanenti cinque sono sotto il controllo di capitali non italiani.

Sebbene il profilo di queste società sia molto diverso, Leonardo dichiara nel suo ultimo bilancio l’83% di vendite nel settore difesa, contro il 17% appena nel settore civile. A sua volta Fincantieri valuta lo shipbuilding militare pari al 23% del fatturato di gruppo. Tuttavia, la prospettiva a breve periodo è per entrambe di un maggior impegno nel settore difesa.

Le circa duecento aziende considerate danno lavoro a 77-78.000 dipendenti, tuttavia le prime nove da sole ne concentrano i due terzi, e le prime tre ben il 55%.

La distribuzione geografica è molto articolata, e ha seguito negli ultimi anni quella dei “distretti industriali”. Tuttavia è evidente che, senza tener conto della dimensione aziendale, prevalgono le regioni del “triangolo industriale” e soprattutto la Lombardia, con una significativa presenza anche di Roma e del Lazio.

La mappa interattiva dell’Atlante dell’industria italiana della difesa, realizzato da Weapon Watch e in via di pubblicazione.
Qui gli insediamenti dell’industria elettronica e i cantieri navali rilevati nell’area della Spezia (settembre 2021).