23 Gen FARE DI GENOVA UN PORTO ETICO E SMILITARIZZATO, DALLA PARTE DEI POPOLI VITTIME DI GUERRE CIVILI E CRISI UMANITARIE
Un comunicato ufficiale del Comando provinciale di Genova della Guardia di Finanza, ampiamente ripreso dalla stampa locale e nazionale, ci informa del sequestro in porto di «macchinari per la fabbricazione di materiale d’armamento (bossoli) destinati all’esportazione in Etiopia in assenza delle necessarie autorizzazioni». Si tratta di un’inchiesta in corso da quattro mesi, che evidentemente la Procura di Genova ha chiuso in questi giorni individuando tre indagati, e dunque potendone dar conto al pubblico.
Il materiale sequestrato era contenuto in due container ed è costituito da una macchina scanalatrice e da una rifilatrice, oltre a minuterie metalliche e stampi impiegati per la fabbricazione di munizioni leggere. Tuttavia erano presentate dall’azienda esportatrice come un «tornio parallelo e macchine per la formatura a caldo», definizioni generiche che intendevano occultare l’impiego per la fabbricazione di materiale di armamento. Valore approssimativo: 3 milioni di euro.
Le merci erano destinate all’Etiopia, paese verso cui il Parlamento europeo ha adottato nell’ottobre 2021 una risoluzione che invita gli Stati UE a bloccare l’esportazione di armi, a causa di una grave crisi umanitaria nella regione del Tigray, dove sono in corso guerre con ingenti perdite di civili e violazioni di diritti umani.
Facciamo notare che:
– i materiali presentati all’imbarco non erano qualificabili come dual use, perché specificamente destinati alla fabbricazione di munizioni, come conferma la presenza di stampi per il calibro 7.62×39 mm, tipico delle armi da guerra di produzione sovietica e in particolare dell’AK-47 ‘Kalashnikov’, fucile d’assalto che è stato anche prodotto su licenza in Etiopia negli stabilimenti del Gafat Armament Engineering Complex;
– da notizie raccolte, abbiamo individuato come azienda esportatrice – di cui ora sono indagati i responsabili – la FORZA 3M Srl, con sede a Lecco, via Parini 19, azienda che non ci risulta iscritta nel Registro nazionale delle imprese ex lege 185/1990, e che quindi non poteva richiedere l’autorizzazione all’esportazione come materiale d’armamento;
– l’azienda citata è di recente costituzione (marzo 2021), ha un capitale sociale limitato (20.000 euro), dichiara una sede che è soltanto legale, e nell’unico bilancio sinora presentato espone un fatturato irrisorio (circa 116.000 euro) con un dipendente. Sarebbe dunque scarsamente affidabile per ottenere un’autorizzata all’esportazione di materiale militare, anche se è strettamente collegata a un’altra azienda lecchese, MINUTERIE 3M Srl, appartenente agli stessi esponenti societari e che opera dal 1995 nel settore delle minuterie metalliche.
Quest’ultima nel bilancio 2021 ha dichiarato un fatturato di 12,7 milioni di euro (raddoppiato rispetto al 2019) e 61 dipendenti impiegati in un moderno stabilimento della zona industriale di Lecco;
– secondo l’Atlante dell’industria italiana della difesa redatto da Weapon Watch, altre aziende lecchesi operano nel settore delle macchine per la confezione di munizioni leggere, un settore che è cresciuto come “indotto” della nota azienda FIOCCHI MUNIZIONI e che ha una propria capacità esportativa, anche in aree del mondo – come l’Africa occidentale e il Medio Oriente – verso cui tali esportazioni non dovrebbero essere autorizzate.
The Weapon Watch, mentre manifesta la sua soddisfazione per l’efficace azione delle autorità, sottolinea che, come accadde nella primavera 2019 sempre nel porto di Genova, anche in questo caso l’azienda produttrice italiana ha cercato di dissimulare la vera natura militare del carico, in quanto diretto verso un’area in cui è in corso da tempo un sanguinoso conflitto.
Sorprende in questa vicenda che l’azienda esportatrice dichiari ufficialmente sul suo sito di fabbricare macchine per fare bossoli, ma abbia cercato di passare dogana dichiarando macchine industriali per uso civile. È stato quindi semplice per le autorità scoprire la frode, considerando il mittente e la destinazione geografica del carico, l’Etiopia, che rientra tra quelle sotto vigilanza.
Ci chiediamo quanti altri carichi analoghi quotidianamente aggirano i controlli, in partenza e in transito nel porto di Genova, e quale attività di intelligence e di intervento pratichino le autorità. Un sequestro in materia di traffico di armamenti ogni due o tre anni in tutto il porto, molto meno di quello che accade con la cocaina, non può essere convincente. Soprattutto in Liguria, regione sede di alcuni tra i principali produttori di sistemi d’arma micidiali come Leonardo Spa, che esporta ovunque nel mondo, preferibilmente dove sono in corso guerre e conflitti sociali.
Da tempo nel porto di Genova il CALP Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali, sostenuto da gruppi di altri lavoratori e dal sindacato di base, denuncia il verificarsi delle stesse circostanze, cioè di trasporti marittimi con destinazione in aree e stati teatro di guerre civili e crisi umanitarie, a cominciare dallo Yemen e dalla Siria, e di origine da parte di aziende impegnate nella produzione di armi ed esplosivi, in particolare dagli Stati Uniti, e ne chiede le ispezioni e i controlli da parte delle autorità. La risposta delle autorità sinora era stata la denuncia penale dei lavoratori su mandato degli interessi imprenditoriali locali per questo tipo di traffici criminali. Speriamo che il sequestro annunciato oggi da Procura, Dogane e Finanza apra un nuovo ciclo di legalità che faccia del porto di Genova un porto etico e smilitarizzato.