1, 2, 10, 100 Fari di Pace si accendano

Dopo Savona e Genova, “Fari di Pace” è approdata alla Spezia il 22 ottobre 2022, nell’inedita forma di un convegno sui temi della pace, del pacifismo, della riconversione produttiva e del commercio di armamenti, preparato insieme a molte associazioni locali con un curato lavoro di tessitura, allo scopo di offrire questi stessi temi alla riflessione della città e del mondo della scuola in particolare.

I lavori del convegno – la registrazione video integrale si può vedere qui – sono stati intensi, fitti di interventi, con la sala conferenze non piccola di TeleLiguriaSud riempita da un pubblico attento di ogni età. A presentare gli interventi Francesco Passalacqua, presidente delle ACLI spezzine, a introdurre la giornata don Renato Sacco per Pax Christi – che con Weapon Watch coordina sul piano nazionale l’iniziativa dei FdP – e Giancarlo Saccani, storico rappresentante del pacifismo spezzino.

Il convegno si è articolato in diversi blocchi tematici. Il primo è legato alla memoria storica delle lotte contro la guerra e per la pace in Italia e in Liguria. È toccato a Pietro Lazagna, classe 1936, una lunga esperienza di educatore e nell’associazionismo e nelle istituzioni locali, ricordare alcune tappe del movimento nonviolento italiano e ligure in particolare. Una sua frase finale («per fare una guerra occorrono tre elementi: le armi, le leggi e le coscienze dei singoli e dei popoli») ha dato l’impronta alla giornata, anticipandone i contenuti e il senso.

Elio Pagani ha inviato da Venegono Superiore (Varese), dove anima un centro di documentazione contro la guerra, un video che ha ricordato la sua esperienza di operaio e tecnico in Aermacchi, storica fabbrica di aerei poi confluita in Finmeccanica-Leonardo. Elio è stato in prima linea nella denuncia dell’utilizzo di aerei fabbricati in Italia nei bombardamenti e nelle repressioni del Sudafrica in apartheid. La sua esperienza, e i costi personali che ha sopportato, ben rappresentano le posizioni pacifiste all’interno del movimento operaio negli anni Settanta e Ottanta.

Gianni Alioti, già direttore dell’ufficio internazionale FIM-CISL e coordinatore dell’Osservatorio regionale ligure sull’industria militare, oggi attivista di Weapon Watch, ha affrontato l’impegnativo compito di fare memoria storica sul tema della riconversione al civile dell’industria militare, con particolare riguardo al distretto spezzino. Qui da oltre un secolo, collegati alla presenza dell’Arsenale della Marina, sono sorti e variamente trasformati i poli produttivi dell’artiglieria (cannoni Vickers-Terni) e dei cantieri navali (del Muggiano, poi San Giorgio, poi Odero-Terni-Orlando, cioè OTO), in un susseguirsi di riconversioni da produzioni civili a produzioni militari nelle fasi prebelliche, e viceversa da militari a civili nei due dopoguerra, e il passaggio definitivo negli anni Trenta sotto l’ombrello dell’industria di stato.

È toccato quindi a Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio OPAL di Brescia e della Rete italiana pace e disarmo, delineare l’orizzonte di leggi e trattati entro cui si muove il commercio internazionale di armamenti. Passaggi fondamentali ne sono stati la Carta delle Nazioni unite del 1945, che sancisce il principio dell’abbandono della forza come base del diritto internazionale, a favore della concertazione diplomatica, e fatto salvo il “diritto naturale” all’autodifesa; e settant’anni dopo il Trattato sul commercio delle armi convenzionali, entrato in vigore nel 2014 per regolare proprio quel diritto all’autodifesa, fortemente voluto dalla società civile con una campagna mondiale ma non ratificato dagli Stati Uniti (primo esportatore mondiale) e non firmato da Russia, India, Pakistan, Algeria ecc. A livello europeo – l’UE è il secondo esportatore mondiale – è stata adottata non una direttiva, ma una “posizione comune” di fatto non vincolante. Anche la forza dell’art. 11 della Costituzione italiana (1947), così esplicito nel collegare il ripudio della guerra alla promozione della pace, ha dovuto aspettare quasi cinquant’anni per trovare applicazione in una legge che regolasse l’export italiano di armi (legge 185 del 1990) e gli togliesse la protezione del segreto di stato accordatagli dal fascismo.

Qual è la realtà produttiva del distretto militare industriale spezzino oggi? Partendo dalla realtà nazionale, ha provato a dare una risposta Carlo Tombola, presidente di Weapon Watch, coordinatore scientifico di OPAL e del progetto Atlante dell’industria militare italiana. In Italia sono censite 761 aziende che producono per la difesa e l’aerospazio, ma il nucleo forte del settore è costituito da sole 213 aziende, le cui esportazioni sono riportate nella Relazione annuale della legge 185. Questo nucleo ristretto è a sua volta dominato da appena 9 aziende, tra le quali per fatturato ed esportazioni sono ampiamente prevalenti le prime tre, cioè Leonardo, Fincantieri e Avio Aero. Delle prime nove, ben sei sono a capitale straniero, a cominciare dalla stessa Avio Aero, controllata dal colosso USA General Electric. Nel fatturato della maggior parte delle aziende censite, la destinazione militare è complessivamente inferiore al 20%, ma nelle maggiori e dominanti è molto più alto e per Leonardo decisamente prevalente. Lo stesso vale nel caso specifico del distretto spezzino, dove le maggiori unità produttive fanno capo ai grandi gruppi a capitale statale e sono a vocazione prettamente militare.

Il presidente dell’Autorità di sistema portuale del Mar Ligure orientale Mario Sommariva ha inviato un suo intervento registrato, per ricordare i limiti istituzionali in cui opera l’autorità che presiede, e che consistono in una divisione di competenze e di responsabilità sui trasferimenti di armi con l’Agenzia delle dogane e la Capitaneria di porto. Sommariva non ha voluto eludere la questione suscitata dal caso della nave «Eolika», partita da Spezia con un carico di munizioni dirette in America centrale e finita sotto sequestro nel porto di Dakar, in Senegal; e ha ribadito l’importanza di costruire una white list degli operatori navali che operano nella logistica delle armi e delle munizioni.

William Domenichini per la rivista Informazione sostenibile e l’associazione “Murati vivi” ha toccato il tema della riqualificazione territoriale in relazione alla storica quanto ingombrante presenza dell’Arsenale militare, che occupa da 150 anni uno spazio di 90 ettari, con 13 km di strade e 7 km lineari di banchine portuali. Una porzione di un golfo di alto valore paesistico è oggi sottratta alla città e alle attività produttive, pur risultando praticamente inutilizzata (600 lavoratori, contro i 12.000 degli anni Cinquanta) e scaricando sulla comunità un pesante lascito ambientale fatto di discariche abusive piene di amianto. Il progetto “Basi blu” dovrebbe nei prossimi anni portare 354 milioni di euro per adeguare l’Arsenale ai più alti standard NATO, movimentando a mare e a terra milioni di metri cubi di fanghi e residui inquinanti.

In conclusione, alcune docenti coordinate dalla prof.ssa Elisabetta Manuguerra hanno presentato i percorsi didattici orientati all’educazione non violenta sperimentati in scuole dell’infanzia del comprensorio spezzino. Le ha precedute la prof.ssa Serena Tusini (USB Scuola) con una panoramica sulla presenza sempre più estesa e allarmante nella scuola locale dei progetti didattici affidati a personale e strutture militari, sulla base di protocolli d’intesa tra ministeri della Difesa e dell’Istruzione.

Per coincidenza non voluta ma fortunata, FdP è approdata alla Spezia nello stesso giorno di Europe for Peace, la vasta mobilitazione contro la guerra promossa da Rete italiana pace e disarmo e da moltissime sigle associative e sindacali. Di qui la partecipazione comune alla “marcia” attraverso la città svoltasi nel pomeriggio, degna conclusione del percorso spezzino di FdP.