Origine / Destinazione


ORIGINE – La «Bahri Jeddah» ancorata al Terminal GMT nel porto di Genova, 9 settembre 2022.
DESTINAZIONE – Conseguenze del bombardamento del 9 agosto 2018 su uno scuola-bus a Saana, Yemen: le tombe dei 44 bambini uccisi sono scavate dai compagni di scuola.

Anche ieri, 8 settembre 2022, la nave saudita «Bahri Jeddah» è passata dal porto di Genova con il suo carico di morte. Che sia arrivata carica di armamento pesante è praticamente certo, provato dall’imponente dispiegamento di polizia, carabinieri, guardia di finanza e perfino guardia costiera. Non era avvenuto il 18 agosto, nel precedente passaggio della «Bahri Tabuk», quando – a parte i container di bombe, sempre presenti perché alimento quotidiano della guerra – non si erano notati grandi sistemi d’arma a bordo, e quindi non vi era stata la solita militarizzazione del porto

La «Jeddah» del resto proviene da Baltimore-Dundalk, uno dei maggiori terminali marittimi dell’export militare USA.

Però a pagina 9 del New York Times di ieri leggiamo un articolo intorno a un tema sempre più insistente: la responsabilità americana nelle vittime civili dei bombardamenti in Yemen.

Un recente rapporto interno dei servizi di sicurezza ha confermato che dal 2015 al 2021 il Pentagono ha fornito 54,6 miliardi di dollari di aiuti militari ad Arabia Saudita ed Emirati, ma non ha raccolto sufficienti notizie circa l’impiego delle armi di fabbricazione USA, né ha idea di come siano stati usati 319 milioni di dollari di “supporti logistici”.

Non è certo una novità, è chiaro che la pressione dei fabbricanti si concentra sulla vendita e non sull’impiego delle armi. Giusto un mese fa, il brigadier generale Garrick Harmon, responsabile dell’US ASAC (US Army Security Assistance Command), cioè il comando che sovraintende a tutti i programmi di assistenza militare all’estero, si è recato a Kiev per verificare dove siano finite le montagne di armi spedite in questi sei mesi all’Ucraina invasa dai russi. Qualcosa non ha funzionato, forse non è questione di logistica, forse qualcuno potrebbe aver rivenduto le armi che in prima linea non sono mai arrivate. Ma è ancora presto per stabilire che uso se ne stia facendo nella guerra in corso, se sono state usate anche contro obiettivi civili. Troppa contro-propaganda sta nascondendo i crimini di guerra che di certo sono stati commessi, in questa guerra come in tutte quelle che l’hanno preceduta.

In Yemen, invece, è tutto chiaro e le prove sono abbondanti.

Nell’ottobre 2016 i sauditi hanno bombardato un funerale a Sana’a uccidendo oltre 140 persone e ferendone oltre 500. Nell’agosto 2018 a Dahyan hanno colpito uno scuola bus uccidendo 54 persone, di cui 44 ragazzini. Nello scorso gennaio hanno bombardato una prigione houti, uccidendo 70 persone.

Quasi un decennio di guerra ha causato oltre 150.000 morti, di cui 15.000 civili. Le stesse fonti governative hanno rivisto 1.300 episodi con vittime civili.

Cittadini e associazioni hanno raccolto prove materiali circa l’origine delle bombe che hanno ucciso civili in Yemen, una coalizione in Italia ha avviato una causa penale, un’altra iniziativa inglese ha chiesto la revoca dell’export ai paesi in guerra, un gruppo di pacifisti francesi ha tentato di impedire l’arrivo delle navi saudite per via legale.

Screenshot dal filmato della CNN successivo al bombardamento dello scuola-bus nell’agosto 2018: un frammento di una bomba guidata di fabbricazione USA, ritrovato sul luogo.

L’amministrazione Biden ha sospeso l’invio di armi “offensive” agli alleati arabi ma ha mantenuto quello delle armi “difensive”, sebbene sia poco probabile – dopo le ammissioni del rapporto interno – che sappia come sono state impiegate le armi difensive inviate.

Quello che è sicuro è che bombe, armamenti completi e pezzi di ricambio vengono costantemente inviate dagli Stati Uniti all’Arabia Saudita e agli Emirati. Lo continuano a provare i portuali genovesi, e lo confermano le ripetute prove di forza nel porto delle polizie italiane.