Weapon Watch sui “droni” in transito da Gioia Tauro

Pochi giorni fa, il 14 luglio, la stampa ha dato la notizia che alcuni container sono stati sequestrati nel porto di Gioia Tauro per il sospetto che possano contenere componenti elettronici per la fabbricazione di droni militari. Fin dal primo lancio d’agenzia la notizia è stata inserita in uno scenario preoccupante: si tratterebbe di una triangolazione, i container provengono dal Canada, sono passati in transshipment da Gioia Tauro e avrebbero dovuto proseguire su feeder verso il Qatar (destinazione ufficiale), ma avrebbero potuto invece finire in porti controllati dai russi.

I sospetti sono nati dall’analisi dei documenti di accompagnamento dei container, e in particolare delle polizze di carico. Alcune fonti, però, sottolineano che l’allarme è stato lanciato «fuori dalla Calabria», e in effetti sia la Guardia di Finanza e l’Agenzia delle Dogane di Gioia Tauro che la Procura di Palmi – che stanno indagando sul caso – non hanno sinora aperto i container per verificarne il contenuto, ma intenderebbero farlo solo quando saranno raggiunti nei prossimi giorni da investigatori dell’FBI provenienti dagli Stati Uniti.

Due ci sembrano gli aspetti più interessanti. Intanto stiamo parlando di apparecchiature dual use in transito da un porto italiano, con il rischio che possano venire utilizzate nel sanguinoso conflitto in corso tra Russia e Ucraina. Si tratterebbe dunque di materiale che ricade nell’applicazione della Legge 185/1990 e del Trattato internazionale sulle armi convenzionali, agli articoli che regolano appunto i trasferimenti di armamenti e li vietano nel caso possano essere destinati a conflitti in cui si violino i diritti umani o si possano compiere crimini di guerra.

Secondo aspetto. Weapon Watch richiede da anni – senza aver mai ottenuto risposte positive – alle autorità del porto di Genova che rendano note le merci trasportate dalle navi saudite della compagnia Bahri, regolarmente in transito dal porto ligure, rendendo di pubblico dominio proprio le relative polizze di carico e i documenti di accompagnamento, per stabilire se queste merci possano essere utilizzate nella guerra che dal 2015 è in corso in Yemen, guerra che ha causato migliaia di vittime e milioni di rifugiati.

Poiché il porto di Genova, come del resto quello di Gioia Tauro (e in Italia anche quelli di La Spezia, Livorno e Napoli), è inserito tra i 58 porti del mondo che aderiscono ai protocolli della Container Security Initiative, è indubitabile che le autorità di controllo dello scalo genovese siano in possesso delle documentazioni di accompagnamento, dello stesso tipo e dettaglio che hanno permesso a Gioia Tauro di individuare i nove container sequestrati in attesa di svelare il loro contenuto sospetto.

Weapon Watch invita tutte le autorità portuali, marittime, di polizia e giudiziarie delle città portuali interessate dal transito di armamenti ad applicare le leggi e i trattati in vigore senza distinguere tra i conflitti in corso, e senza cadere in calcoli geopolitici di fronte a conflitti sanguinosi che l’articolo 11 della nostra Costituzione considera tutti «strumento di offesa alla libertà di altri popoli».