quella in ucraina, una delle molte guerre

Il compito primario di Weapon Watch è di informare l’opinione pubblica circa gli armamenti che passano attraverso i porti e alimentano le guerre, rafforzano le dittature, contribuiscono a reprimere le proteste popolari.

In questo momento di grave crisi internazionale, tuttavia, i nostri “osservatori” non colgono significative evidenze di armi in transito attraverso i porti italiani. Negli ultimi dieci giorni abbiamo osservato:

– un convoglio di camion militari nuovi di fabbrica, marchio Iveco Defence, in partenza da Genova per Tunisi, una delle tranche di una maxi-commessa di 500 veicoli militari 4×4 e 6×6 (valore 53 milioni di €) per il Ministero della difesa tunisino, di cui abbiamo già visto recentemente altre consegne;

In alto: I camion di produzione Iveco Defence, in partenza da Genova per Tunisi, destinati al Ministero della difesa tunisino, Direzione generale del materiale rotabile e del carburante. A destra: uno degli shelter di produzione Leonardo, imbarcati a Trieste per il sultanato di Oman, indicato come Ground Control System.

– una spedizione da Trieste di shelter Leonardo, probabilmente centri controllo per droni o di comando e comunicazione, diretti al porto di Salalah, nel sultanato di Oman;

– alcuni carri armati arrivati a Genova da Palermo e in transito per Vercelli, e probabilmente destinati come residuati militari per il parco acquatico di Aqaba, in Giordania (nell’Underwater Military Museum Dive Site i visitatori subacquei possono “visitare” carri armati, blindati, elicotteri, aerei collocati nei fondali corallini…).

Uno dei Leopard 1 A 2 dismesso dall’Esercito italiano e destinato al parco acquatico di Aqaba, in Giordania, allo sbarco al Terminal traghetti di Genova.

Se per il momento non si sono osservati massicci trasferimenti di sistemi d’arma via mare verso l’Ucraina è perché quella marittima è una logistica più lenta, richiede una più complessa pianificazione, e consente un’economia di scala riservata solitamente a carri armati e blindati, elicotteri, voluminosi apparati di telecomunicazione e comando, grandi quantità di munizionamento pesante. Per inviare armi destinate alla resistenza ucraina il governo italiano, invece, ha voluto seguire una via più rapida e flessibile, servendosi per ora soltanto di mezzi aerei.

La Rete italiana pace e disarmo, insieme all’Osservatorio Opal di Brescia e a Weapon Watch, ha denunciato lo scorso 7 marzo (vedi qui il comunicato stampa) la partecipazione di velivoli militari italiani al ponte aereo internazionale in corso, che sta raccogliendo un imponente arsenale attorno all’aeroporto di Rzeszow-Jasionka, nella Polonia orientale. L’Aeronautica militare italiana vi dedica tre voli giornalieri dall’aeroporto di Pisa San Giusto con due aerei (un Hercules e un Boeing KC-767A). Sull’aeroporto di Resovia – dove dal 5 febbraio opera un comando logistico Usa, protetto da 1800 parà – stanno convergendo i cargo militari di Regno Unito, Belgio, Spagna, Francia, Canada ecc., mentre altri grandi vettori civili airlift decollati da Marsiglia-Istres, da Lipsia, dall’Estonia stanno portando materiale a Constanta, porto rumeno sul Mar Nero.

In alto: il Lockheed Martin C-130J Hercules dell’Aeronautica Militare, registrato MM62177, qui fotografato a Pisa San Giusto. A destra: il Boeing KC-767A, registrato MM62227. Sono i due velivoli utilizzati nel “ponte aereo” con l’aeroporto polacco di Resovia.

Quale materiale sta affluendo ai confini dell’Ucraina invasa? Secondo quanto riportato dal Washington Post, da dicembre gli Stati Uniti stanno rifornendo l’esercito ucraino di armi leggere e attrezzature da combattimento in aree urbane (fucili M500, lanciagranate Mk 19, bazooka anti-bunker M 141, M134 Minugun), tute speciali per sminamento, sistemi missilistici antiaereo Stinger e anticarro Javelin e relativo munizionamento. Con tutta probabilità è questa la tipologia degli aiuti militari che anche gli alleati europei della NATO stanno spedendo in Ucraina, a cui vanno aggiunte le migliaia di NLAW (anticarro di nuova generazione) consegnate da Regno Unito e Lussemburgo. Segnaliamo qui la pericolosità e la facile dispersione in mani non controllabili dei sistemi leggeri “usa e getta”, come insegna il caso degli Stinger inviati ai mujaheddin afgani negli anni ottanta, in parte passati poi alle reti terroriste islamiche.

A sinistra: soldati ucraini scaricano sistemi anticarro Javelin all’aeroporto Boryspil di Kiev, inizio di febbraio. Sullo sfondo, il Boeing 747 della compagnia americana Kalitta Air proveniente dalla base della US Air Force di Dover, Delaware. A destra: Le operazioni di carico in stiva del Boeing di Kalitta alla partenza, nella base di Dover.

Lo sforzo logistico aereo a sostegno dell’Ucraina, per quanto sia massiccio e intenso, tuttavia è una piccola porzione del flusso quotidiano che, principalmente nella modalità marittima, continua ad alimentare il trasferimento di armi pesanti e leggere dal cosiddetto Occidente verso i paesi in via di sviluppo. Se guardiamo al solo export italiano di armi leggere, munizioni e bombe, nel 2021 secondo Istat è aumentato del 40% rispetto all’anno precedente. Il Qatar è divenuto il secondo paese acquirente, quadruplicando in un anno gli acquisti così come gli Emirati Arabi Uniti (5° posto), mentre dall’11a alla 23a posizione troviamo Egitto, Turkmenistan, Brasile, Pakistan, Russia (+56,6%), Singapore, Israele, Kuwait, Marocco e India. Se consideriamo l’aerospazio, tra i primi dieci acquirenti nel 2021 troviamo Kuwait (3° posto), Egitto (5°), Turkmenistan (6°), Qatar (8°), Arabia Saudita (9°), tutti con consistenti programmi militari pluriennali.

La crisi ucraina non deve farci perdere la prospettiva d’insieme: oltre ai cinque maggiori conflitti armati in corso (Afghanistan, Yemen, Myanmar, Tigrai, Ucraina), altri 18 minori si stanno svolgendo soprattutto in Africa e Asia, insieme a un’ulteriore ventina di guerre a bassa intensità.