Accade ad Amburgo

Il 1° settembre scorso the Weapon Watch era ad Amburgo e ci sarà anche 16 settembre, alla Friedekonferenz organizzata dal sindacato ver.di sul tema delle politiche di riarmo nel cambiamento climatico.

Nel progetto di WW l’esempio di Amburgo – dove è in corso la raccolta firme di un referendum popolare per escludere gli armamenti dal movimento portuale – è importante, indica una via, un modello, come ha ben spiegato l’articolo di Luca Rondi su Altreconomia [vedi in RASSEGNA STAMPA “I portuali in lotta contro il transito di Armi. Da Genova ad Amburgo”]. Le proteste dei lavoratori dei porti italiani contro le “navi della morte” hanno contribuito a portare sotto la luce dei riflettori un fatto di rilevanza sia economica che politica: le guerre in corso sono alimentate da collaudate “catene logistiche” che coinvolgono tutti i paesi occidentali, compresi quelli dell’Unione Europea. Dunque anche la protesta, il boicottaggio, l’obiezione di coscienza devono cercare di raggiungere quel piano internazionale su cui si preparano e si sostengono i conflitti. Bisogna segnalare a tutti i governi che approvano e sostengono quei rifornimenti di morte – in nome della “libertà di commercio” e del lavoro che creerebbero in ciascun paese – la loro complicità nella violazione dei trattati e delle convenzioni che proteggono le popolazioni civili nelle aree di guerra. Bisogna portare alle opinioni pubbliche nazionali i dati e le informazioni sui reali benefici apportati all’economia dal commercio di armamenti, e di chi sono e dove operano i reali beneficiari di questo commercio. Bisogna fare qualcosa di concreto perché le armi non passino più dai nostri porti.

Tutto ciò sta accadendo ad Amburgo. La Volksinitiative gegen Rüstungsexporte (‘Iniziativa popolare contro l’esportazione di armamenti’) ci ha trovato subito solidali, per molti motivi. Alcuni li elenca qui di seguito Alessandro Capuzzo, che è stato invitato e ha parlato alla Giornata contro la guerra del 1° settembre anche per conto di WW.

 

 

Ai colleghi di Ver.di ed agli attivisti di Ziviler Hafen Amburgo

Salve a tutti, sono lieto di contribuire all’iniziativa del 1º settembre per un Referendum che dichiari Amburgo Porto di Pace. Spero possa servire da stimolo alla discussione e da proposta per iniziative future, vista la specificità di quella attuale e la somiglianza con quanto si cerca di realizzare a Trieste, Capodistria e in altri porti del Mediterraneo. Questo contributo si affianca a quello sul boicottaggio delle navi saudite delle armi, partito da Genova grazie all’associazione The Weapon Watch di cui faccio parte, ed al sindacato dei portuali Calp.

In breve: Trieste ha molto in comune con Amburgo:

– Porti dove HHLA , Hamburger Hafen und Logistik Aktiengesellschaft, immagazzina beni civili e militari per il trasporto e carica e scarica le navi.

– L’Italia e la Germania hanno entrambe basi aeree statunitensi dove sono conservate testate nucleari.

E abbiamo due cose in comune su cui possiamo legalmente basare il nostro impegno per la pace:

– Amburgo ha stabilito nel preambolo della sua costituzione che la città vuole: “essere un mediatore tra tutti i continenti e i popoli del mondo nello spirito della pace”. Il territorio di Trieste fu dichiarata zona neutrale e senza armi col trattato di pace del 1947.

– Inoltre, l’Italia ha una legge che proibisce l’esportazione di armi agli stati belligeranti. Anche la Germania ha un simile divieto di esportazione di armi.

Il porto di Trieste, oggetto di un bombardamento angloamericano nel 1944, e salvato negli ultimi giorni di guerra dalla distruzione pianificata dai nazifascisti, è oggi luogo di transito di strumenti di morte. Rappresentanti della Women International League for Peace and Freedom e dei Disarmisti Esigenti, hanno consegnato alla Conferenza delle Nazioni Unite per un Trattato sulla proibizione delle armi nucleari (il 20 giugno 2017) un documento con il quale è stato proposto insieme all’ex sindaco di Koper – Capodistria in Slovenia, un caso di studio sulla denuclearizzazione dei nostri porti, ai sensi del nuovo Trattato.

Nel documento, consegnato al Presidente Gomez di Costa Rica – unico Paese al mondo senza esercito – si fa riferimento al Trattato di Pace del 1947 tra Italia e potenze vincitrici la 2° Guerra Mondiale, recepito dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite con la Risoluzione 16 e ratificato dal Parlamento italiano, in cui i territori di Trieste-Trst e Koper-Capodistria sono definiti “smilitarizzati e neutrali”.

 

 

Attualmente Italia e Slovenia condividono il Golfo di Trieste con la Croazia; i tre Stati fanno parte dell’Alleanza NATO (Italia dal 1952, Slovenia 2004 e Croazia 2009) e si sono pronunciati contro il nuovo Trattato Onu per il bando alle armi nucleari, approvato grazie alla Coalizione ICAN, insignita del Premio Nobel per la pace 2017. Il Trattato è entrato in vigore con la 50a ratifica, il 22 gennaio 2021.

In contrasto con entrambi i Trattati, quello di Pace del 1947 e di Proibizione delle armi nucleari, nonché con la Dichiarazione Euromediterranea di Barcellona del 1995, che gettò le basi per il disarmo e la denuclearizzazione del Mar Mediterraneo, il Golfo di Trieste ospita due porti nucleari militari di transito: Trieste – Trst in Italia e Koper-Capodistria in Slovenia.

La presenza dei due centri urbani, rende impossibile una seria prevenzione dei possibili incidenti riguardo alla propulsione nucleare delle navi, alla presenza a bordo di armi convenzionali o di distruzione di massa, e alla possibilità di divenire a propria volta un obiettivo, militare e nucleare.

Nel 1972 la zona industriale di Trieste fu teatro di un pauroso attentato ai tank del TAL, l’oleodotto transalpino di Dolina, il più grande del bacino Mediterraneo che rifornisce Austria, Repubblica Ceca e Germania. Il segreto militare sulle notizie necessarie alla valutazione del rischio, costringe le istituzioni a nascondere importanti informazioni sul pericolo potenziale, rendendo letteralmente impraticabili i Piani di emergenza in caso di incidente, nucleare o di altro tipo, previsti dalla Legge e dalle Direttive europee.

L’esistenza a Miramare della Scuola di Prevenzione Nucleare dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica di Vienna, e la presenza di tre Paesi contigui nello stesso Golfo, Italia Slovenia e Croazia, possono stimolare le sinergie necessarie ad avviare il disarmo in questi porti.

Il caso di studio sarebbe utile anche per altre località come Aviano, dove la presenza mai confermata ufficialmente di ordigni nucleari, lascia i cittadini all’oscuro delle gravissime conseguenze possibili. Soprattutto ora che l’imminente rinnovo e trasformazione in B.61-12 delle bombe esistenti, aumenta esponenzialmente il rischio per la popolazione in tutta la regione, dell’Alpe Adria e oltre. Anche Krško in Slovenia, dove si trova una centrale nucleare civile di cui la Croazia è comproprietaria, soggetta a terremoti e ad incidenti rilevanti nonchè prossima al raddoppio, può essere coinvolta.

Le responsabilità delle Nazioni Unite, nella contraddizione esistente tra il Territorio smilitarizzato e neutrale di Trieste e il protettorato affidato alla NATO, non si fermano qui e devono essere portate all’attenzione del Segretario Generale dell’ONU e del Consiglio di Sicurezza.

 

Da Trieste sono passate navi militari coinvolte in missioni di guerra, anche illegittime secondo lo Statuto Onu, come il bombardamento missilistico della Siria. Dal porto triestino, sono anche partiti rifornimenti militari verso gli Emirati Arabi Uniti, paese della coalizione a guida Saudita che ha invaso lo Yemen.

Un rapporto al Consiglio di Sicurezza dimostra l’utilizzo di bombe RWM Rheinmetall made in Italy su aree civili yemenite, ed evidenzia come possa costituire un crimine di guerra. Nel 2016 un gruppo di cittadini presentò denuncia alla Procura di Trieste, segnalando le esportazioni sensibili effettuate verso gli Emirati Arabi Uniti; ai sensi della Costituzione italiana e della Legge 185/90 che vieta l’esportazione di armamenti verso paesi in guerra. La denuncia produsse quale primo risultato un nuovo regolamento portuale,che limita fortemente la manipolazione di esplosivi.

A 100 anni dalla fine della prima guerra mondiale in Europa, persone e associazioni delle regioni limitrofe che furono luoghi di conflitti e di guerre, hanno lanciato a Klagenfurt il Manifesto per un’Alpe Adria di Pace, invitando a lavorare per il futuro quali cittadini con pari diritti, collegando la dimensione regionale e quella planetaria.

A cavallo del secolo, il progressivo consolidamento dell’Unione Europea fece pensare a una composizione delle pressioni etno-nazionaliste e belliche, ma la globalizzazione sembra travolgere questa certezza, ed ecco il senso di una Marcia Mondiale per la Pace e la Nonviolenza, volta a interconnettere Campagne locali e con quelle internazionali.

Nell’ambito della Marcia Mondiale, nel febbraio 2020 si è diffuso in Alpe Adria (Carinzia, Slovenia e Croazia occidentali, Friuli Venezia Giulia) un progetto nato in Spagna e chiamato Mediterraneo Mar de Paz, concretizzato a Pirano nonostante l’arrivo del blocco-Covid.

Nel Golfo di Trieste intendiamo di reaaizzare una Ambasciata diePace applicando la risoluzione n.16 del Consiglio di Sicurezza, per riaprire l’iniziativa internazionale verso una Zona Nuclear Free del Mediterraneo e del Medio Oriente, come già esistente in Sud America, Sud Pacifico, Sud-Est Asia, Africa, Antartide, Spazio e Fondali marini.

E mettere in atto la Dichiarazione di Barcellona per un Mediterraneo di Pace, seguendo il percorso iniziato nel 1945, quando le sofferenze delle guerre produssero una “linea” neutrale sulla cortina di ferro, dalla Finlandia alla Jugoslavia, scandita da tre punti focali: Berlino Vienna e Trieste, coi loro statuti di neutralità. Per collegare le attività da realizzare nel Mediterraneo, col filone culturale della neutralità sviluppatosi nel dopoguerra in Europa.

Potrebbe Amburgo ospitare il passaggio delle terza marcia mondiale per la Pace e la nonviolenza nel 2024/25? (a.c.)