Propaganda logistica

«The Big Picture» fu una serie molto speciale di documentari televisivi, prodotta dall’Army Pictorial Service del U.S. Army Signal Corps, cioè dai servizi di propaganda dell’esercito americano.

I primi tredici episodi furono trasmessi alla fine del 1951 dalla rete tv CBS, costruiti con materiali filmati durante la guerra in Corea allora in corso. Come la celebre serie di film «Why We Fight» prodotta sotto la direzione di Frank Capra dallo stesso servizio dell’esercito pochi anni prima (1942-1946), anche «The Big Picture» fu inizialmente diffusa solo in ambito militare e destinata al reclutamento e alla motivazione ideologica dei soldati. Poi però quella trasmissione di mezz’ora venne ripresa e trasmessa a cadenza settimanale anche dalle maggiori reti televisive americane, ed ebbe un grande successo presso il pubblico, ammirato dagli innumerevoli exploit sul campo compiuti dalle forze armate USA e dalla varietà degli argomenti toccati: storia militare, nuove armi, addestramenti specifici, cooperazione con gli alleati, atleti militari.

Negli anni Cinquanta la serie contribuì potentemente a estendere il consenso popolare attorno alla sanguinosa campagna coreana, in realtà una guerra neocoloniale, prima esperienza di “occupazione permanente” d’oltremare realizzata durante la Guerra Fredda. Negli anni Sessanta «The Big Picture» fu soprattutto al servizio della gigantesca mobilitazione della guerra in Vietnam, di cui seguì il destino: dopo 828 episodi, trasmessi per vent’anni da centinaia di emittenti, la serie cessò nel 1971, quando negli Stati Uniti le proteste contro la guerra avevano raggiunto il punto più alto e il Congresso cominciò a imporre seri limiti all’azione del presidente Nixon in Indocina. Tuttavia è rimasta un documento della cultura popolare americana, ha continuato a circolare in cassette diffuse dai National Archives e acquistabili su Amazon, e oggi è liberamente scaricabile da Internet Archive. Molti episodi sono disponibili su YouTube.

Il gradimento del pubblico televisivo spinse ad accentuare il tono agiografico e apertamente propagandistico. Ad esempio, nella sigla di apertura della prima serie scorrevano immagini e parole: «This is war [in sottofondo audio e video: un massiccio cannoneggiamento notturno]. War and his masses [immagini di colonne di profughi coreani in fuga dalla guerra]. War and his men [sfilano soldati americani in marcia al ritmo marziale dei tamburi]. War and his machines [avanzano giganteschi carri armati con la stella USA, ripresi da basso]. Together they form the Big Picture [immagini sovrapposte di profughi, soldati e carri armati avanzanti]».

Già a partire dalla seconda serie, però, il tono diviene più forte: «From Korea to Germany, from Alaska to Puerto Rico, all over the world the men and women of your army have owned the honor to defend our nation and you, American people, against aggression. This is The Big Picture» [sullo sfondo immagini di soldati americani che sfilano nei diversi contesti geografici, al ritmo di una tromba militare].

Lo sviluppo della logistica come attività prettamente al servizio della guerra è il tema di due episodi, il n° 683 del 1966 dal titolo Lifeline of Logistics, e il n° 749 del 1968, Logistics in Vietnam. Entrambi infatti sono stati girati e trasmessi in piena guerra del Vietnam.

Lifeline of Logistics, «The Big Picture», episode 749, 1966, color, 25’.

Lifeline of Logistics è una rassegna dello sforzo organizzativo necessario ad alimentare e rifornire le truppe americane in una città sovrappopolata come Saigon, la cui popolazione si avvicinava già allora ai due milioni di abitanti (oggi sono nove). Sappiamo dalla storia che una logistica efficace è condizione indispensabile per vincere una guerra e abbassare il rischio di perdite, una lifeline appunto. Ma il super-dispiegamento di mezzi è il marchio distintivo dell’industria della guerra americana, è il modello militare che gli Stati Uniti hanno trasferito e imposto agli alleati della NATO e dell’ASEAN, e che alimenta una produzione militare pletorica di mezzi e materiali che fa felice gli investitori nell’industria della difesa, sotto ogni latitudine. L’imperativo di non far mancare ai soldati in prima linea ciò che serve, quando e dove serve (le tre W: what, when and where) muove gigantesche quantità di merci di ogni tipo, di veicoli, di veicoli che portano veicoli, che portano armi, che portano munizioni (che portano morte). E tutto questo esige magazzini e depositi, servizi di movimentazione e selezione, di registrazione e di amministrazione; e su tutto, attività di controllo emanutenzione di mezzi e strutture. La struttura del market universale stile Wal-Mart e Amazon, cioè l’organizzazione razionale che sorregge la distribuzione e l’informatica (allora si chiamava “meccanizzazione”, si usavano schede perforate, tutto era IBM), erano già nate e visibili nel documentario del 1966, che documenta anche la particolare reverse logistics applicata nella “smilitarizzazione” delle munizioni e nel recupero di polvere da sparo, piombo, ottone ecc. Nei decenni successivi questa organizzazione logistica, nata al servizio dell’esercito USA, si estese a tutta l’economia civile, sviluppando appieno il suo ruolo di “ponte” tra l’economia della nazione e le necessità tattiche della macchina militare, secondo l’efficace definizione del contrammiraglio Henry E. Eccles, uno dei pionieri della logistica navale e del suo insegnamento al Naval War College di Newport, Rhode Island.

Logistics in Vietnam (Pipeline to Victory), «The Big Picture», episode 749, 1968, color, 28’.

È la guerra in Vietnam a segnare la svolta verso la logistics industry, ce ne dà conto l’episodio di «Big Picture» del 1968, che segue il trasporto di armi e rifornimenti dagli USA fino ai porti vietnamiti e ai soldati al fronte, attraverso tutte le modalità e tutti i mezzi a disposizione delle forze armate e descrive le forze logistiche americane come un “esercito oltre l’esercito”, una “pipeline per la vittoria”. Sappiamo di chi fu la vittoria, tuttavia impressiona l’onnipresenza – sin dalla prima inquadratura – del rosso logo di Sea-Land, l’azienda fondata nel 1960 da Malcom McLean, un ex camionista della Carolina del Nord, a cui si deve l’avvio di una diversa e più travolgente “rivoluzione”, quella del container e del trasporto intermodale. Quella di Sea-Land fu una progressione da pioniere dell’innovazione nel trasporto marittimo: primo servizio container East-West Coasts (1963), primo servizio annuale permanente da e per l’Alaska (1964), primo servizio trans-atlantico (1966). Nel 1967 Sea-Land aprì propri terminal in Vietnam, nel 1968 lanciò il primo servizio commerciale full container per il Giappone. L’anno successivo si fuse con il suo maggior caricatore, R.J.Reynolds Tobacco Co., per investire in pochi anni un miliardo di dollari in nuove navi e stendere la sua rete globale (a Genova e Napoli e in Corea nel 1970, ad Algeciras nel 1975, fondazione nel 1978 di Mina Jebel Ali, a Dubai, oggi il maggior complesso portuale mediorientale, apertura dei servizi verso India e Cina 1979-80). Divenuta public company nel 1984, quando registrò uno storico record dei profitti, si fuse due anni dopo con il gigante delle ferrovie CSX Co. Dopo molte traversie, nel 1999 il comparto marittimo di Sea-Land venne ceduto e assorbito dal gruppo danese Maersk. Recentemente, Maersk ha riesumato il marchio Sea-Land per gestire i servizi marittimi in tra-americani, ramo in cui rimane ancor oggi leader di mercato.

«Nell’inverno del 1965, il governo degli Stati Uniti iniziò una rapida azione di trasferimento di forze militari in Vietnam, inaugurando quella che sarebbe diventata la più caotica movimentazione logistica nella storia delle forze armate americane. La fine di quel caos coincise con l’alba della containerizzazione» [Marc Levinson, The Box: How the Shipping Container Made the World Smaller and the World Economy Smaller, 2006].

I comandi americani dovettero affrontare la drammatica inefficienza logistica del Vietnam del Sud, e in particolare del suo principale porto, Saigon. Unico nel paese a disporre di approdi sufficientemente profondi, sebbene a oltre 70 km dal mare aperto, il porto fluviale di Saigon era sovraccarico e inefficiente, oltre che controllato dai corrotti generali sudvietnamiti, e le navi provenienti da Oakland e Seattle dovevano attendere anche 45 giorni prima di essere scaricate. Cercarono di porvi rimedio con giganteschi investimenti, in primis la costruzione dal nulla di un porto costiero nell’approdo protetto di Cam Rahn Bay, reso rapidamente operativo sotto la gestione dell’esercito che vi sperimentò l’impiego di moli prefabbricati DeLong, poi utilizzati anche per i porti di Da Nang e Que Nohn. Da Cam Rahn i carichi ripartivano su chiatte e sui C-130 Hercules verso i depositi nell’interno del paese, raggiungendo la prima linea su elicotteri e camion dopo numerose rotture di carico e movimentazioni manuali.

Un primo significativo progresso fu ottenuto affidando a una società privata la gestione di una parte delle operazioni logistiche svolte da personale militare, cioè il lightering e il trasporto inter-portuale su chiatte. Fu lo storico esordio dell’esternalizzazione della logistica militare USA. Tuttavia, neppure la costruzione in tempi record del nuovo porto di Saigon-Newport (costato almeno 50 milioni di $ dell’epoca) bastò a risolvere il “collo-di-bottiglia” della lentezza delle operazioni portuali. Decisiva fu invece la missione in Vietnam di McLean e degli ingegneri della Sea-Land, nel Natale del 1965: proposero ai vertici militari di impiegare i loro container di alluminio, e il progetto ottenne l’ok di Teddy Gleason, il leader dell’ILA (International Longshoremen’s Association) che per dieci anni si era opposto all’uso del container nel porto di New York.

Poco più di un anno dopo Sea-Land si aggiudicò un contratto da 70 milioni di $ per sette navi dedicate tra i porti della West Coast e Cam Rahn Bay, servizio poi esteso anche a Saigon, Da Nang e Que Nohn, per consegnare 1.200 TEU al mese: sette navi che coprivano il 10% di tutti i rifornimenti destinati all’esercito, mentre per il restante 90% venivano impiegate ben 250 navi. Era cominciata la “rivoluzione logistica”. Di lì a poco, nel 1971, un ex capitano dei marines, che aveva servito per tre anni in Vietnam, fonderà Federal Express e comincerà a consegnare piccoli pacchi per via aerea: oggi il gruppo FedEx fattura 65 miliardi di $ all’anno, ha 425.000 dipendenti, gestisce una delle maggiori flotte aeree del mondo ed è – insieme a Maersk – uno dei maggior specialisti della military logistics.